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Con le leggi di Solone, Atene divenne la prima polis del mondo ellenico ad abbandonare ogni traccia di governo fondato su privilegi politici gentilizi, ma dal punto di vista dei conflitti sociali, le riforme di Solone riuscirono solo a dare una breve tregua. Da un lato, infatti, gli aristocratici mal tolleravano l’apertura alla vita politica concessa ai ceti sociali più bassi, dall’altro lato nemmeno i piccoli proprietari terrieri e il demos erano contenti delle riforme che consideravano insufficienti a creare una vera uguaglianza politica. Presentandosi come pacificatore della polis, il nobile Pisistrato seppe cavalcare l’onda del malcontento sociale e si fece nominare nel 560 a. C. tiranno di Atene.
Soffermiamoci un attimo sul concetto di tirannide per i Greci.
La tirannide si diffuse in Grecia a partire dal VII secolo a. C. e consiste nella concentrazione del potere nelle mani di una sola persona che riesce a imporsi su tutte le componenti sociali della città, spesso grazie al prestigio acquisito in guerra e con l’appoggio degli opliti.
In origine il termine tyrannos non aveva un significato dispregiativo, non sempre, infatti, il tiranno era un usurpatore che si affermava con la violenza, a volte un periodo limitato di tirannide poteva essere previsto dallo stesso ordinamento politico della città e poteva essere caldeggiato dalla stessa aristocrazia, la quale si rendeva conto dell’insufficienza degli organi politici tradizionali a gestire particolari situazioni di conflitto sociale e/o politico.
Una volta ottenuto il potere, per conservarlo, il tiranno cercava il consenso dei contadini, che in lui vedevano un argine al potere della grande aristocrazia terriera, e del demos favorito dallo sviluppo economico inaugurato dal tiranno. È in ambito aristocratico – come testimoniano scrittori e poeti legati alla nobiltà – che il termine tyrannos assume quella sfumatura spregiativa che avrà per gli autori del IV secolo a. C., in quanto gli aristocratici vedono nel potere di uno solo un limite e una minaccia ai loro privilegi politici.
LA TIRANNIDE DI PISISTRATO
Portavoce dei piccoli proprietari terrieri delle colline circostanti Atene, i diacrii, riuscì a risolvere alcune piaghe della società attica, favorendo la piccola proprietà terriera – assegnò ai piccoli proprietari terrieri numerose terre confiscate ai nobili suoi oppositori –, rafforzando la posizione di Atene in alcune zone di vitale importanza per i traffici commerciali – ordinò la colonizzazione dell’Ellesponto, l’attuale stretto dei Dardanelli, così da avere accesso al Mar Nero e un facile rifornimento di grano dalla Tessaglia, e curò, con abile diplomazia, i rapporti con i popoli di Argo, Corinto e Beozia -, ma anche adottando misure protezionistiche a favore dell’artigianato e del commercio ateniese. Riorganizzò inoltre il sistema fiscale che gli permise anche di ampliare la flotta mercantile.
La sua amministrazione fu esemplare, anche se gli attirò l’ostilità dell’aristocrazia, in particolar modo della famiglia degli Alcmeonidi che, con l’aiuto di Sparta, nel 510 a. C. riuscirono ad abbattere la tirannide. Gli Spartani speravano in un ritorno ad Atene del governo aristocratico e oligarchico che consentisse una maggiore vicinanza tra le due poleis. Ma il corso degli eventi smentì le attese di Sparta, uno degli esponenti del ghenos degli Alcmeonidi, Clistene, fu, infatti, il protagonista della nascita della prima costituzione democratica della storia.
LA COSTITUZIONE DEMOCRATICA DI CLISTENE
Clistene capì che l’eliminazione di ogni forma di conflitto sociale doveva passare attraverso l’abolizione di ogni tipo di discriminazione. Egli organizzò il territorio e la popolazione della polis in modo tale che l’appartenenza a una tribù non fosse più in virtù di legami di nascita e parentela, ma in base al luogo di residenza.
Nello specifico divise il territorio dell’Attica in tre grandi aree concentriche: il nucleo urbano di Atene, la zona costiera e la regione interna, ciascuna zona era inoltre composta da dieci unità territoriali chiamate trittie. Anche la popolazione fu divisa in dieci tribù che andarono a sostituire le quattro tradizionali tribù gentilizie (o genetiche, in quanto si supponeva che i membri discendessero dagli stessi antenati).
La novità sta nel fatto che ogni tribù non era formata dagli abitanti di un’unica zona, ma da una popolazione socialmente eterogenea fatta dei membri di tutte e quattro i ceti di censo della costituzione di Solone. Ogni tribù era, infatti, dislocata su tre trittie – una di città, una di costa e una rurale – in modo tale che la popolazione si mescolasse e venissero meno le distinzioni sociali, geografiche ed economiche.
Le tribù erano a loro volta suddivise in demi, corrispondenti ai piccoli villaggi rurali e alle varie zone del nucleo urbano. I demi svolgevano autonome funzioni amministrative a livello locale, in più entrarono a far parte della bulè, espressione diretta della volontà popolare. La bulè, infatti, aveva il compito di convocare l’ecclesia e stabilire gli argomenti sui quali l’ecclesia era chiamata a decidere. Entrambe avevano potere legislativo, ma l’ecclesia non poteva prendere alcuna iniziativa né discutere su questioni proposte dai membri dell’assemblea stessa: l’unica facoltà di iniziativa consentita era quella di chiedere alla bulè di mettere un argomento all’ordine del giorno di una riunione successiva.
Vediamo nello specifico come si formava la bulè.
Ogni demo eleggeva un numero di candidati proporzionale al numero dei suoi residenti. Tra questi candidati venivano sorteggiati cinquanta uomini per ogni tribù, che costituivano le cosiddette pritanie e andavano a formare i cinquecento membri della bulè. Il metodo del sorteggio doveva ostacolare eventuali manipolazioni elettorali da parte dell’aristocrazia. Per evitare gli inconvenienti legati alla convocazione e alla riunione di un’assemblea così numerosa, si decise che ognuna delle dieci pritanie governasse a turno in qualità dell’intera bulè, per un periodo di 35/36 corrispondente a un decimo circa dell’anno solare. Durante questo periodo venivano elaborati disegni di legge da proporre all’ecclesia, si assisteva l’operato degli arconti, si controllavano i magistrati, si curava la politica estera, interna, finanziaria e urbanistica.
Infine per evitare un possibile ritorno della tirannide, Clistene introdusse l’istituzione dell’ostracismo che consisteva nell’indicare, scrivendolo su un coccio – il termine ostracismo deriva dal greco ostrakon che significa proprio coccio – il nome del cittadino ritenuto troppo influente nella vita politica di Atene a tal punto da poterne minacciare l’ordinamento democratico. Seimila voti e il cittadino veniva condannato a dieci anni di esilio. Utilizzato per la prima volta nel 487 a. C. contro uno degli esponenti della famiglia dei Pisistrati, divenne in seguito un mezzo per eliminare dalla scena politica personaggi scomodi come per esempio è stato nel caso di Aristide, Temistocle e Cimone.
Se la costituzione di Clistene rappresenta un primo grande passo verso quella che oggi chiamiamo democrazia, dall’altro ovviamente risente dei limiti del tempo. Ricordiamo che il termine democrazia – il cui uso è attestato solo a partire dal V secolo – deriva dal greco demos “popolo” e kratos “potere” e indica proprio il potere nelle mani del popolo inteso come insieme di tutte le sue componenti sociali.
La costituzione di Clistene non prevedeva il misthos, ovvero la retribuzione per le cariche pubbliche, con la conseguenza che i membri delle classi più povere anche se eletti non potevano accettare perché non avrebbero più potuto svolgere l’attività lavorativa che garantiva loro la sopravvivenza. E poi vi erano le donne, i meteci – tra cui anche ricchi mercanti e investitori stranieri – e gli schiavi, esclusi da ogni sorta di diritto politico.