L’India è un subcontinente multinazionale (o multi-etnico) e in India si sono sviluppate molte letterature, in base alle due suddivisioni linguistiche principali: le lingue indoarie (come il sanscrito, il pali e altre) e le lingue dravidiche (come il telugu e altre).
Letteratura assamese
La lingua assamese è una lingua neoindiana del gruppo indoeuropeo, vicina alla lingua bengalese. L’alfabeto è affine a quello del Bengala. L’Assam si trova nella parte nordorientale dell’India. Le prime opere letterarie di cui si abbia notizia risalgono all’XI secolo. Si tratta di aforismi dello scrittore e filosofo Daka. Precedentemente si ha una ricca letteratura folkloristica, poemi epici, canti ecc., scritti in una lingua pura, libera da influenze sanscrite. Le prime traduzioni dal sanscrito sono del XIV secolo (il Mahabharatae il Ramayana interamente tradotti dal poeta Kandali Madhav). Da allora le traduzioni, le imitazioni e le elaborazioni dal sanscrito hanno costituito una parte importante della letteratura assamese. Nel XV secolo si affermò il movimento vishnuita, che portava elementi di progresso e sviluppo. Anche la letteratura trova espressioni, temi e stili nuovi: i maggiori rappresentanti di questo periodo furono Khem Sarasvati, Rudra Kandali, Kaviratna Sarasvati, Kharikhar Vipra. I maggiori rappresentanti del nuovo movimento filosofico-letterario furono per altro Shankardev e Madkhavdev. In seguito si sviluppò la letteratura dedicata alla storia (secoli XVII-XVIII); cronache, in prosa e in versi, e biografie.
Nel 1818-1819 l’Assam fu invaso dai Birmani, che lo devastarono. Nel 1826 fu conquistato dagli Inglesi, i quali proclamarono, per rozza ignoranza, lingua ufficiale il bengalese, e proibirono la lingua assamese nelle scuole, negli uffici ecc. Per fortuna nel 1836 venne nell’Assam una missione americana battista: i battisti non solo intrapresero la traduzione dei testi sacri cristiani in assamese, ma crearono anche una tipografia e, nel 1846, fondarono un giornale in lingua assamese, l’Oriente. Nel XIX secolo si pubblicarono in lingua assamese grammatiche, lessici, trattati filosofici e molte traduzioni da lingue occidentali.
Gli Inglesi permisero l’uso ufficiale dell’assamese solo nel 1872. In seguito si diffuse una vasta produzione di giornali e riviste. Il romanzo compare nella letteratura assamese solo verso la fine del XIX secolo. Un importante romanziere fu Rajanilanta Bardola. Maggiore popolarità raggiunsero i romanzi di avventure e storici, ma in seguito ebbero successo anche i romanzi realisti, con la descrizione della vita dei contadini (Khitesh Deka, L’uomo contemporaneo; Cg. K. Goga, L’aratro d’oro; Adianakhta Sharma, Tre capitoli della vita, dedicato alle lotte per l’indipendenza dell’Assam; Govinda Ma-khanti, I contadini; B. K. Bhattacari, Il richiamo della grande via). La poesia si sviluppò all’inizio degli anni Venti del nostro secolo, e fu molto influenzata da quella inglese.
I più noti poeti di questo tempo furono L. Bezbarua, Ambikagiri Caudhari, C. K. Agarvalla (Canto con il liuto). Khitesvar Barbarua scrisse opere epiche in versi (canti epici). Vanno ricordati anche i versi di Raghunat Caudhari e Iatindranath Duara. C’è anche una poetessa, delicata e gentile, Nalinibala Devi, che ha scritto poesie con intonazioni mistiche. Si può dire, in genere, che la letteratura assamese originale ha cominciato a svilupparsi nel XIX secolo, con il romanzo, mentre nel XX secolo prevale la poesia, che resta ancora il genere preferito dagli Assamesi.
Letteratura Bengalese
Il bengalese è la lingua ufficiale del Bangladesh, ed è parlata in varie parti dell’India, da oltre 60 milioni di persone. Appartiene al gruppo orientale delle lingue neo-indoarie. In bengalese si è sviluppata una delle letterature più ricche e antiche del subcontinente indiano.
Uno dei documenti più antichi è il Corapod, un poema in versi, di carattere storico-satirico, ricco di fermenti libertari. Risale al X secolo. Parabole, favole, leggende in versi furono popolari nei secoli IX e X. Il principale lirico del Bengala fu Jayadeva, che scrisse però prevalentemente in sanscrito (XII secolo). Non si sono conservate le opere dei secoli XIII e XIV, ma ne abbiamo notizia nei rifacimenti diffusi oralmente dai cantori popolari: si tratta per lo più di poemi di contenuto religioso e mistico, dedicati al dio Vishnu. Il ciclo di poemi in onore della dea Condi (Ciondi) parla della potenza e della misericordia di questa dea. A lei hanno dedicato poemi anche i poeti Vijoygupto Narayona (XV secolo) e Mukundorama Cokkoborti (XVI secolo). Il tema religioso non impedisce a questi autori di rappresentare anche la vita del popolo bengalese. Autori di liriche d’amore e religiose (dedicate alla storia di Rama e di Radha) furono Biddanogi e Condadash, dei secoli XIV-XV. In genere questi poeti erano molto colti, conoscevano bene la letteratura sanscrita, e sapevano servirsi con maestria degli artifici e dei metodi della poetica sanscrita. Naturalmente avevano grande diffusione le traduzioni del Mahabharatae del Ramayana.
La lirica bengalese trovò uno sviluppo originale nei secoli XV-XVII, e fior specialmente nei gruppi animati da forte sentimento religioso (bhakti). Il movimento bhakti stimolò la lirica, che si espresse specialmente in composizioni dedicate al dio Vishnu e agli amori di Vishnu per la pastorella Radha. Fra le molte antologie poetiche godette di chiara fama l’antologia L’oceano di versi di Monokhor Dasha (XVI secolo). Una notevole funzione ebbero anche i poeti mussulmani, fra i quali Doylot Kazi del XVIII secolo, autore del poema Lor e Chondrani, di sentimenti laici. Difatti, più che di poesie religiose, si tratta di poesie d’amore e addirittura erotiche. Si pubblicano traduzioni dall’inglese, dallo hindi, dall’urdu, e naturalmente sempre dal sanscrito. Si affermano anche scrittori di origine non nobile (non brahmanica o della casta dei bramini). La letteratura si arricchisce di romanzi, novelle e drammi, secondo moduli europei. Notorietà ebbero Debendronath Thakur (il padre di Tagore), sostenitore di una riforma dell’induismo, Ramnaravon Tarkorotno, autore del dramma sociale Alta nobiltà. Un grande contributo di rinnovamento, specialmente nel campo della lingua letteraria bengali, fu portato da Bonkincondro Cottopaddkhaj autore di romanzi anche storici, di novelle e di satire. Ebbero fortuna (nella seconda metà dell’Ottocento) poeti romantici, che si ispiravano a Moore, a Byron e a Shelley.
Negli anni Ottanta esordì Rabindranat Tagore, il grande poeta che diventò famoso in tutto il mondo, premio Nobel, autore di molte raccolte di poesie (come Offerta di canti). Tagore è stato veramente il maggiore rappresentante della letteratura bengalese. Esordì in stile romantico, per passare poi al metodo realistico; fu anche scrittore di romanzi (come La casa e il mondo). Scrittori suoi contemporanei furono Banaphool, autore di novelle, il saggista Amalendu Bose, il romanziere Budhadeva Bose e il grande prosatore Bibhutibusham Banerji, nonchè Manik Bandyopadhaya, di tendenza marxista.
Letteratura gujerati (guggerati)
La lingua gujerati è parlata nello stato indiano del Gujarat, a Karaci, Madras, Calcutta e altrove. Appartiene alla famiglia indoeuropea. Parlano gujerati oltre 14 milioni di persone.
La letteratura gujerati comprende anzitutto un periodo antico, in lingua gujerati antica (il cosiddetto gaudjara anabknransha), che viene usata come lingua letteraria nel X secolo d.C., accanto alle più affermate lingue sanscrito e prakrito (quest’ultima lingua del periodo detto “medio-indiano”).
Ci sono pervenute solo poche opere di questo periodo (in cui sono diffuse naturalmente opere del folklore). Del 112 è una grammatica dell’antico gujerati di un certo Khemachandra. Nei secoli XII-XIV si diffusero opere religiose (prediche, poemi didascalici) della religione giainista. I poemi didascalici religiosi si chiamano rasa (come in altre letterature indiane). Di questo periodo sono canti e inni iscritti per le varie festività o legate al calendario: phagu, canti di primavera, baramasi, canti dei dodici mesi, garbi, canti per le danze. Nel genere dei baramasi Vinaychandra scrisse nel 1140 il Poema di Neminatha. Jinpadmasuri è considerato il maggiore autore di phagu in questo periodo. Nei secoli XV-XVI anche nell’area gujerati ebbe larga diffusione il movimento riformatore-religioso bhakta (amore per Dio, fede, devozione), con forte connotazione democratica, ostile al sistema delle caste e ai ceti dominanti, nonchè avversario dell’induismo classico.
Poeti bhakti furono Narsinkh Mekhta (1414-1480), e la poetessa Mir Baya (1499-1547). Il poeta Bhim (XV secolo) tradusse in gujerati il famoso Bhagavadgita, il noto poema che fa parte del Mahabharata.
Nel 1456 Padmankhb scrive il poema Racconto di Kankhadad, che canta la lotta dei gujerati contro i mussulmani invasori. Nel XVI secolo si hanno molti poeti, fra cui Vasto, autore del Racconto di Sukhadeva e del Ratto di Subkhadra, sviluppo di episodi del Mahabharata. Dei secoli XVII-XVIII è l’opera di Akkho (1591-1656), Premanand (1636-1734) e Shamal (1684-1769), che si staccano da una tematica puramente religiosa. Akko scrisse poemi filosofici e satire. Premanand è autore di opere che riflettono la vita della gente e anche di poemi ispirati all’epica indù. Shamal è l’iniziatore di un movimento letterario che si può definire romantico. Questi tre ultimi poeti espressero anche umori e idee di carattere democratico.
Le opere di altri poeti dei secoli XVII-XVIII (come Narkhari, Shridkhar, Shivdas, Vishnudas) furono più tradizionali, e trattarono opere della mitologia canonica. Nella seconda metà del XVIII secolo avvenne la presa del potere, dopo invasioni dal Dekkan, dei Marathi, e questo significò l’indebolimento della letteratura gujerati tradizionale. Appaiono molti poeti che scrivono opere dedicate ai grandi dei dell’induismo, come Vishnu, Shiva e Krishna: Trikamdas (1734-1769) e Govindram (contemporaneo del precedente) elaborarono soggetti tratti dal Ramayana e dal Mahabharata. Le idee del vishnuismo e del shivaismo dominano ancora nel XIX secolo.
Nel 1818 la Compagnia delle Indie si impadronì del Gujerat, paese di mare, ricco per i suoi commerci, e rovesciò facilmente la dinastia marathi. Il governo della regione passò, naturalmente, come il resto dell’India, alla corona britannica. I Gujerati furono contenti del nuovo regime, perchè era molto più tollerante (dopo secoli di dittature mussulmane e marathi): furono filobritannici fino alla comparsa di Gandhi, che era di origine proprio gujerati. Gli Inglesi non furono però tanto tolleranti in campo economico e ostacolarono il libero commercio al quale i Gujerati erano abituati.
I più notevoli rappresentanti della letteratura gujerati furono Nirant (1770-1886), Babu Sakheb Gajkvad (1779-1843), Premanand (1779-1845), Manokhar (1788-1845), Muktanand (1761-1824). Questi ultimi tre poeti espressero idee riformatrici (le idee della setta Swaminarayana), contro il lusso, la diseguaglianza sociale, per la semplificazione del culto e anche per l’ascetismo. In sostanza erano idee che risalivano al movimento bhakti, e secondo lo spirito bhakti scrisse Dayaram (1777-1852), autore di versi lirici e anche di opere in prosa. Fondatori della moderna lingua gujerati (il neo-gujerati) e della letteratura corrispondente sono considerati Dalpatram (1820-1898) e Parmadshan-kar (1833-1886), quest’ultimo autore del primo dizionario della lingua gujerati. Dalpatram fu un grande umanista e illuminista. Narmandshakar (Narmada) scrisse anche saggi, articoli critici ecc. Molti poemi suoi sono dedicati al tragico destino delle donne. Nel 1866 fu pubblicato il romanzo storico (il primo) Karan Ghelo di Nandshankar Tuljashan-kar.
Nell’Ottocento la letteratura in gujerati si arricch di nuovi generi e nuove idee.
Ormai Bombay aveva preso il posto di Calcutta, come primo porto dell’India, e quindi la popolazione gujerati ne trasse benessere e importanza. La maggiore figura della letteratura gujerati della seconda metà del secolo fu Govardkhandram Tripathi (1855-1907), autore del romanzoSaraswatichandra (1901): si tratta del primo di una lunga serie di romanzi, prolissi ma ricchi di informazioni e di pathos. E’ la storia di uno studente, di idee timidamente progressiste. L’opera di un altro scrittore, Ramanbhai Nilkhanta (1868-1928), e cioè Bhrambhrafa (1900), un’opera satirica, è molto più compiuta dal punto di vista artistico. Anche in gujerati nel secolo XX sorse e si sviluppò il genere della novella (e del racconto). Naturalmente continuarono e continuano ad apparire poeti, per lo più tradizionalisti, ma anche di impianto, a volte, modernistico. Molti poeti e romanzieri si ispirarono al pensiero di Gandhi. Fra gli scrittori del XX secolo ricordiamo Kanhaiya Lal Munshi, autore di saggi, biografie e di romanzi d’avventure, che hanno avuto e hanno tuttora un grande successo.
Letteratura hindi
La lingua hindi è la lingua di Stato (l’India) e una delle più diffuse dell’India, scritta nell’antichissimo alfabeto devanagari, proprio del sanscrito.
Prima della formazione di una vera e propria lingua letteraria (seconda metà del XIX secolo) la letteratura hindi era espressa in numerosi dialetti. La somiglianza dei dialetti e l’unicità della cultura di base hanno contribuito a rendere facile la reciproca comprensione.
L’inizio di questa letteratura, che prosegue in vari modi quella sanscrita o antico-indiana, risale ai secoli IX-XI con il diffondersi di scritti religiosi dei culti buddhista, giainista e shivaita. Nei secoli X-XIV l’India del Nord risultava divisa in molti Stati feudali, che caddero, uno dopo l’altro, sotto il dominio dei Turchi. Le continue guerre fra gli Stati e contro i Turchi alimentarono una letteratura epico-eroica, specialmente nel Rajastan. Le opere erano composte da cantori che vivevano alla corte dei principi e dei re, opere in cui si esaltavano le imprese, vere o inventate, di questo o quel principe. Questi poemi eroici si chiamavano raso. Questi raso erano per lo più orali, e solo più tardi vennero scritti, come il Racconto di Pritkvirand di Cand Bardan, del XII secolo, e il Poema di Bisaldeva di Narphlati Nal’kh (XIII secolo).
Ebbe grande importanza il poeta Armir Khosroe Dekhleir (1253-1325), che visse alla corte di signori mussulmani di Delhi, autore di opere in persiano e in hindi. Intenso fu il rinnovamento culturale prodotto dal movimento riformatore bhakti, Il rappresentante più importante della spiritualità bhakti, nonchè degli spiriti democratici a essa ispirati, fu il ben noto poeta Kabir (1440-1518), che era un tessitore di Benares. Le poesie di Kabir si distinguono per profondità, purezza e bellezza. Le idee e i metodi di Kabir sono condivisi da altri poeti a lui contemporanei (come Raydas) e successori, come Dharmadas (m. 1543), Dadudayal (m. 1603), Sundarsas (m. 1689). Si può parlare di un vero e proprio periodo umanistico-rinascimentale. Si ebbero anche poemi e poesie sufiche in lingua hindi (letteratura sufica) : la poesia sufi in lingua hindi è un po’ la sintesi delle tradizioni poetico-letterarie.
Il maggiore poeta sufi fu Muhammad Malik Jayasi, autore del poema Padmavata (1540).
Nel XVI secolo si diffusero poemi che avevano come protagonisti Krishna o Rama, il primo un dio pastore, il secondo un dio guerriero. Entrambi erano incarnazioni di Vishnu. La vita di Krishna, che come pastore viveva tra pastori e contadini, e dava loro felicità e gioia di vivere, ispirò i canti del poeta Surdas (1483-1563). Un importante rappresentante della poesia bhaktifu Tulsidas (1532-1624), autore di un rifacimento del Ramayana, in cui viene rappresentato un sovrano ideale, giusto, equilibrato. Il poema si chiama Il lago della festa di Rama, ed è scritto in una forma bellissima, ricca, vivace e succosa. Fra i poeti non collegati alla tradizione bhakti va ricordato Khanlhama, vissuto alla corte degli imperatori Mogul.
Il XVII secolo fu però un periodo di decadenza, con diffusione di poesie erotico-amorose di maniera. Poeti di questo genere furono Cintamani e Matirana. Più individualizzate le poesie di Bhushai (1614-1616). La prosa comincia ad affermarsi nel XIX secolo. All’inizio si hanno versioni in prosa di leggende e poemi mitologici (come il Mare dell’amoredi Lalla ji Lada, 1763-1825)
E’ verso il 1825 che appare la stampa in lingua hindi. Nella seconda metà dell’Ottocento si ha un grande sviluppo della letteratura hindi, con drammi di costume, sociali e storici (Ambikada ta Vyas; Badrinarayan Caudkhri, 1855-1922). Si diffondono romanzi e novelle, fra cui il romanzo picaresco Chandrakantadi Devakinandan Khatri. Nella poesia del periodo 1920-1930 nasce il movimento chayaved, in cui si esprimono sentimenti e forme ispirati al romanticismo. Vanno di moda i romanzi in più volumi, come Chandrakantie Chandrakanta Santati, del già citato Devakinandan Khatri (1862-1913): si tratta di letteratura d’appendice, priva di valore artistico ma molto popolare: ebbe fortuna fino al tempo della prima guerra mondiale. Fra i poeti del periodo dobbiamo indicare Shridhar Pathak (1859-1929) . Fra i romanzieri occorre citare Maharit Prasad Duwedi (1864-1938), che fu anche poeta e saggista.
Però l’iniziatore della letteratura hindi contemporanea è il romanziere Dhampat Rai Premchand, che scrisse moltissime opere (fra cui Un pugno di grano), e affermò il realismo idealistico. Fu il primo di una schiera di romanzieri, ma anche la poesia si sviluppò negli ultimi decenni, liberandosi dagli schemi e dalla ripetitività dei periodi precedenti. Fra i poeti va ricordato Sumitranandan Pant (1900-1977), che fu un seguace di Gandhi.
Negli ultimi tempi si sono sviluppate in lingua hindi molte correnti letterarie, spesso legate ad affini movimenti europei e africani, con influenze di scuole psicanalitiche, con interessi per il decadentismo e per il nuovo realismo (in quest’ultima direzione vanno anche i numerosi romanzi storici, ma si diffondono anche romanzi a base sociale e ispirati al realismo sociale).
Letteratura kanarese o kannada
La lingua kannada, parlata da circa 15 milioni di persone (nello stato del Karnatak), appartiene alla famiglia dravidica. Ha un’antica tradizione scritta: iscrizioni su pietra, tavolette incise ecc. La scritta più antica risale al 450 d.C. La più antica opera letteraria che ci sia pervenuta è il trattato di poetica Il cammino del re-poeta dell’825, attribuita a Nripatungi, eminente poeta e studioso. Anche la letteratura kanarese dei primi secoli è di carattere religioso. La religione dominante è quella giainita, i modelli letterari sono quelli sanscriti. I poeti Pampa, Ponna e Ranna (X secolo) elaborarono opere sulla base di episodi del Mahabharata e del Ramayana.
All’inizio del XII secolo i poeti cercarono di liberarsi dall’influenza del sanscrito e di trovare forme originali. Uno di questi poeti, Nayasena, scrisse in una lingua semplice e vivace, originali favole e parabole, improntate alla morale giainista. Il poeta Basava e la sua scuola invece diedero inizio a una nuova tendenza, fondata sul culto di Shiva, e di carattere libero (anche contro il dominio dei sacerdoti): siamo verso la fine del XII secolo.
Nel periodo XII-XIV secolo comunque la letteratura esce dalle corti e diventa più democratica. Ebbe fortuna il genere campu, in cui le opere si presentano miste di versi e prose; questo genere dominò nei secoli XII-XV. Fra gli autori ebbe giusta fama il poeta Nemichandra autore dell’opera Nemipurana, un’esposizione della religione giainita, scritta in lingua vivace (vi si espone la leggenda di Krishna, ma in versione giainita). Al XV secolo risale l’opera dei poeti Puranaradasa e Kanakadasa, seguaci del movimento religioso Servi di Vishnu, che era di tendenze democratiche.
Nel XVIII secolo trova fortuna il dramma popolare, in cui si presentano episodi dei poemi epico-religiosi indiani, in particolare il Mahabharatae il Ramayana.
L’inizio del periodo moderno si ha nel XIX secolo, con l’opera in prosa di Kempunarayana. E’ dell’Ottocento lo svegliarsi degli interessi scientifici europei (inglesi) per la lingua kannada (del Mysore), con la pubblicazione di opere grammaticali e lessicali.
La produzione letteraria, in cui appaiono traduzioni di autori inglesi come Shakespeare e Byron, è in linea di massima assai mediocre. Il risorgimento artistico del kannada si ha nel XX secolo, e fu influenzato da opere di altri scrittori indiani (come Tagore). Il diffondersi di molte traduzioni influ anche sulle opere originali, e così si sviluppò un romanzo kanarese di nuovo tipo, di cui è un esempio Il loto bianco, romanzo storico di Galaganath. Grandi traduttori di poesia (specialmente dall’inglese) furono Panje Mangesharaju e Shrikantaya.
La conquista dell’indipendenza, la formazione della nuova India federale, della quale entrò a far parte lo stato del Mysore, con forte presenza kanarese, permise lo sviluppo della letteratura kanarese più recente, in cui domina, naturalmente, la linea nazional-patriottica. Ma restano diffuse e popolari le poesie con tematica amorosa e filosofica.
Letteratura Malayalam
Il popolo Malayalam parla una lingua della famiglia dravidica, e comprende circa 20 milioni di persone nell’India sudoccidentale, specialmente nel Kerala. Si sono conservate fino a oggi ballate e canzoni, che venivano cantate durante i lavori agricoli e le cerimonie religiose, e che risalgono ai secoli X-XII. Fra queste testimonianze del folklore i canti detti delle Fauci del serpente, che venivano cantati in caverne, durante culti di adorazione dei serpenti, e i canti detti sastrukali,cantati intorno ai falò da rappresentanti delle caste più alte (bramini e kshatriya). Si tratta di opere originali, con pochi prestiti dal tamil (la lingua più affine al malayalam) e dal sanscrito.
Del XIII secolo è la Vita di Rama, rifacimento abbastanza originale di uno dei libri del Ramayana (Il libro del guerriero). Questo poema è scritto in una lingua artificiale, il cui lessico è formato da parole malayalam, tamil e sanscrite. L’influenza del sanscrito era così intensa che si formò una lingua letteraria detta manipravalam, cioè collana di pietre preziose e di coralli: le pietre preziose erano la lingua malayalam, i coralli il sanscrito.
In genere la poetica malayalam si formò sulla base e sull’esempio del sanscrito. Naturalmente si diffusero traduzioni e imitazioni dal sanscrito (particolarmente popolare fu La nuvola messaggera di Kalidasa).
Il periodo medievale del malayalam si ebbe nei secoli XV-XVII: come in altre letterature dell’India, ebbero grande diffusione le opere ispirate al movimento religioso-riformatore detto bhakti.
Importante fu, nel XV secolo, Canto di Krishna, ricco di momenti realistici e satirici. Questo canto è il modello di un genere poetico tipico del malayalam, detto gatha. Interessante è il Bharatagatha, di cui si ignora l’autore, un rifacimento del Mahabharata.
Il massimo scrittore di questi tempi è stato Tunzhata Ezhuttancana (XVI sec.), di origini umili (forse era un paria), autore di due poemi epici, il Ramayana spirituale e il Mahabharata: questo poeta conosceva e sapeva rendere le sfumature dell’animo umano. Sul suo esempio si affermò il genere letterario I canti del pappagallo, in cui il narratore è un pappagallo (ma può essere anche un’ape o un cigno). Le opere poetico-narrative di questo genere erano espresse in una lingua popolare, usata anche per gli attakkatha, scene teatrali dedicate a miti religiosi. Scrissero opere di questo genere Kottayattu Tsmbiran, (XV secolo) e Unnain (XVII secolo), autore di una Storia di Nalo, che sviluppa un episodio del Mahabharata.
Nel XVIII secolo Kuncan Nambiyar creò il genere tullal, una forma di teatro centrata su episodi mitici o ricavati dai grandi poemi sanscriti. Nel XIX secolo si sviluppò una letteratura malayalam di carattere illuministico; si tradussero molte opere dal sanscrito e dall’inglese. In base a modelli sanscriti si sviluppò la scuola poetica influenzata dal Canto del pavone di Kerala Barma, in cui predominano le influenze sanscrite. Di carattere più popolare (e quindi più vicine alla lingua malayalam) sono le opere di Kodungallur, Venmani Nambudiripad e Candu Menon: quest’ultimo scrisse un romanzo che divenne molto popolare, Indulekha, del 1888, in un stile del tutto libero dalla pesante influenza sanscrita. Alla fine dell’Ottocento nasce anche una ricca pubblicistica in questa lingua, con saggi, articoli, ricerche ecc. Questo nella prosa. Nella poesia continuavano a essere determinanti i modelli sanscriti, ma il poeta Vallatkhol Narayana (inizio del XX secolo) se ne liberò: questo si può vedere nella sua libera traduzione del Ramayana. Questo poeta però preferì dedicarsi a opere anticolonialiste e indipendentiste. Mentre Indulekha, che rimaneva sempre un modello per gli scrittori del XX secolo, era un romanzo d’amore, i romanzi del nostro secolo, in cui non manca quasi mai l’intrigo amoroso, molto ricercato dai lettori, sono più che altro di carattere politico (indipendentista) .
Sivasankara Pillai Thakazi, nato nel 1914, fu il maggiore rappresentante della prosa malayalam del nostro secolo, in particolare fu grande autore di novelle (ma anche di romanzi). Nella poesia, in un periodo più vicino a noi si affermarono tre grandi poeti: Kumaran Asan (1873-1924), autore di liriche e poemi (fra cui Nalini, Lila, appassionato e passionato poema d’amore, e Karuna, la storia antica ma narrata in forme nuove dei rapporti fra un monaco buddhista e una prostituta), Iyer Ullur (1877-1949), autore di opere di impianto classico, di lingua classica, ricche di metafore e artifici, e Narayayana Menon Vallatjol (1878-1958), il maggiore poeta dei tre, autore di liriche libere e intense, di poemi, fra cui Magdalana Mariyam, o Maria Maddalena, dedicato alla figura evangelica della Maddalena. Un altro poeta notevole, delicato, sottile, profondo è stato Changapusha Krishna Oillai. A lui si ispirano i numerosi poeti contemporanei, che però non raggiungono la grandezza dei precedenti.
Letteratura Marathi
La letteratura in lingua marathi (una lingua della famiglia indoeuropea, parlata da oltre 30 milioni di persone nell’India sudoccidentale, Stato del Maharashtra) ha avuto inizio nei secoli XI-XII, al tempo della fondazione dello Stato feudale degli Yadava.
La letteratura più vivace di questo periodo è quella legata alle sette religiose, eretiche, antibraminiche. E’ una letteratura popolare, fondata sul folklore, in antitesi a quella sanscrita, che per il popolo era incomprensibile.
Anche presso i Marathi si affermò il vishnuismo, che portava elementi di riforma sociale, particolarmente forti, con gli elementi religiosi, nei seguaci della setta mahanubhava; si diffusero vite di santi. I seguaci di questa setta, per farsi capire dalla gente, scrissero anche in prosa, in lingua marathi. In queste vite di santi (fra cui la vita di Cakradkhara, fondatore della setta) si riflette in modo efficace la condizione dei contadini. Si hanno anche poemi amorosi, in cui si esprime il solito conflitto della donna innamorata e addolorata perchè non può sposare l’uomo che ama. Nelle numerose vite di Krishna si esprimono questi problemi e i sentimenti dei contadini.
Fra i poeti bisogna ricordare una poetessa, Makhadaysa. Spesso i poeti predicatori della setta mahanubhava erano costretti a scrivere in un codice cifrato, che solo di recente è stato interpretato. La tradizione di questa setta proseguì con i poeti sant-kavi (traduzioni dal sanscrito, inni dedicati a Vishnu, Krishna e Rama, canti lirici).
Il maggiore di questa pleiade di poeti fu Dnyaneshavara (1271-1296), autore di una grande opera di carattere enciclopedico, in versi molto belli e in una lingua vivace e ricca.
Nel XIV secolo i sultani di Delhi si impadronirono dello Stato degli Yadava. Nella letteratura si rafforzò l’elemento religioso con vivace espressione delle tendenze riformatrici. A Namdeva (1270-1350) appartengono molti intensi canti e inni. Namdeva scrisse anche in hindi.
I poemi dei secoli XV e XVI rappresentano, sotto figure di dei e demoni, la lotta del popolo contro gli invasori stranieri. Nel XVI secolo (verso la fine) si comincia a diffondere anche una letteratura di Marathi mussulmani. Il maggiore poeta del XVI secolo fu Dasopant (1552-1616), autore di un volume chiamato Il mare di inni. Seguaci delle sette induiste scrissero anche opere in prosa, sempre in forma cifrata.
Alla prima metà del XVII secolo risale l’opera del poeta Tukaram (1608-1649), autore di bellissimi inni a Krishna e di intense poesie d’amore. Sempre nel XVII secolo si diffonde anche una poesia epico-eroica, in cui si canta la lotta dei Marathi contro i Mogol (Mongoli) e altri invasori. L’eroe popolare nazionale fu Shivadzi. Uno degli autori di questi poemi epici fu Ramdas (1608-1681): l’eroe è Krishna vincitore dei demoni, come nel poema La conoscenza della saggezza. Al tema eroico si dedicarono anche altri autori assai validi del XVII secolo, come Jayram, Rangnakht, Keshav, Nigrikar, e le poetesse Venaban e Bakhinaban. Accanto a questa poesia di carattere indipendentista e guerriero, continuò a svilupparsi anche nel XVII secolo la poesia braminica, di tendenza aristocratica, in cui si aveva grande cura della forma e si cercavano nuovi esperimenti estetici.
All’interno di questa tendenza si formò una scuola detta dei poeti scienziati (pandit kavi), che seguivano le regole della retorica sanscrita e scrivevano anche poesie erotiche. Fra questi deve essere ricordato Baman (1636-1695), nelle cui liriche si avverte un’autentica capacità poetica: non si sente un formalismo esteriore, ma tecnica, impegno e grande sensibilità. Lo stesso si può dire di Moropant (1729-1794). Pure nello stile dei poeti scienziati scrissero liriche Raghunath (1630-1720), Samraj (1608-1688), Nagesh (1618-1693) e altri: l’interesse per Rama, proprio della corrente eroica, si univa in costoro alla ricerca della forma. Di grande fama godette Shridhar (1678-1729), i cui poemi (come La vittoria di Rama e La vittoria di Chari) riflettevano, sotto l’argomento tradizionale e mistico, i problemi del tempo.
Quando i Marathi ebbero uno Stato indipendente, si svilupparono nuovi generi di poesia, come la ballata lirica e la lirica d’amore. Erano assai popolari i poeti ambulanti, i rapsodi, che declamavano le ballate liriche (l’eroe era Shivadji). Questi rapsodi erano naturalmente di origine umile, ma anche poeti di corte, come Anantikhandi (1744-1819), scrissero ballate liriche.
Nel XVIII secolo si diffuse la moda delle biografie. Il più esperto e avvincente biografo fu Makhipati (1715-1790), che raggiunse una forma semplice ed elegante, e scrisse le sue biografie non in base alla fantasia o alle incerte tradizioni, ma a un metodo che può dirsi scientifico. Trattati politici ed economici, cronache e annali (bakkhara) si moltiplicarono. Molte di queste cronache furono scritte anche nel secolo successivo, a testimonianza della lotta contro gli Inglesi.
La conquista inglese però, come altrove in India, segnò la stasi della letteratura marathi: l’Ottocento non diede alcuna opera di rilievo. Verso la fine del secolo si animò l’interesse degli intellettuali marathi sia nei confronti delle letterature europee, sia nei confronti del passato storico e culturale della loro terra. I primi illuministi furono Vishnu Brahmacari (1825-1870), Djotiba Khule (1827-1890), Gopali Khari Deshmukh (1823-1892), animatori del risveglio culturale del popolo marathi.
Alla fine del XIX secolo si ebbe un vero e proprio movimento di liberazione nazionale, fra i cui promotori vi fu Balgangadhar Tilak (1856-1920), e anche Vishnushastri Cindunkar (1850-1882) , Shiram Parandepe (1864-1929) e Agarkar (1856-1895). In questo scorcio di secolo vi fu un grande sviluppo del giornalismo. Sul modello delle letterature europee sorsero e si svilupparono generi letterari prima ignoti, come il romanzo e il racconto. Agli inizi del XX secolo gli scrittori marathi approfondirono il genere romanzo, e pubblicarono testi ben fatti, frutto anche di ricerche artistiche e storiche. Il primo romanzo marathi risale però al 1857, Pellegrinaggio allo Yamun di Baba Padmanji (1831-1906). Del 1871 è il romanzo storico La liberazione della fortezza, di Ramchandra Gunjikar (1843-1901). Khara Narayan Apte (1864-1919) scrisse romanzi sociali e storici: in questi si avverte la suggestione del romanticismo inglese, e in particolare di Walter Scott. Lo stesso Apte è stato anche il primo autore di racconti. Tra i poeti dell’inizio del secolo vanno ricordati Keshavsut (1866-1905), autore di canti epici e di belle poesie d’amore, e Narayan Murlidkar Gupte (1873-1947), Narayan Vaman Tilak (1856-1919) e altri. Di un periodo posteriore sono Bhaskara Ramchandra Tambe (1874-1942) , Shankar Madhav Kanektar e altri, tutti romantici.
Negli anni Trenta molti prosatori e poeti marathi accolsero con entusiasmo il gandhismo. Vaman Malkhal Dzoshi (1882-1943) scrisse romanzi sociali, e così rappresentò la vita del contadino e i suoi problemi il romanziere Vitthal Vaman Chadap (1900). Gli eroi delle prose di Gadjanan Trayambak Madholkar (nato nel 1899) furono contadini, patrioti e rivoluzionari.
Fu dopo la seconda guerra mondiale e la conquista dell’indipendenza da parte dell’India e degli Stati che si confederarono, e il conseguente sviluppo economico (ricordiamo che Bombay si trova in area marathi) che gli scrittori e poeti marathi si liberarono definitivamente dalle regole della retorica classica, sperimentarono nuove tecniche e trattarono nuovi temi. Il maggiore poeta marathi contemporaneo è stato Mardhekar (1907-1956), la cui opera (certo ancora prematura per i tempi) fu osteggiata per molti anni: la sua fama si diffuse dopo la sua scomparsa, e così il riconoscimento del suo valore. L’esempio del suo stile e del suo modo di fare poesia fu seguito da molti poeti, inferiori a lui, ma pure di valore. Si sviluppò anche la prosa, sulla scia dei romanzieri che abbiamo ricordato, ma in complesso risultò inferiore alla poesia.
Letteratura in lingua oriya
La lingua oriya, parlata dagli abitanti dello Stato indiano dell’Orissa, è una lingua indoeuropea, dotata di un alfabeto proprio particolarmente elaborato. La letteratura oriya è stata intralciata nel suo sviluppo dal fatto che l’Oriya (Orissa) non ha mai avuto nè indipendenza, nè unità: è sempre stato suddiviso in varie province, appartenenti ad altri reami o Stati, in cui dominavano altre lingue. L’Orissa ha trovato la sua unità nell’ambito dello Stato federale indiano, quindi, solo dopo il 1947.
Le tracce della lingua oriya scritta sono antiche: scritte in templi, risalenti al XII secolo. A partire dal XIII secolo si cominciarono a trascrivere canti lirici popolari e poesie satiriche, che vengono diffusi anche oggi.
Nei secoli XV-XVI il poeta Siddekhsvar Parida Saraladas tradusse in oriya e pubblicò il Mahabharata. In questo periodo lavorarono molti poeti, fra i quali il cosiddetto gruppo dei cinque (Balaramdas, Jagannadkhdas, Anantdas, Jasavantdas e Achiutanandadas), autori, tutti, di rifacimenti e rimaneggiamenti dell’epica indiana classica.
All’inizio del XVII secolo si ebbero poeti che cantarono la vita e le opere del dio Krishna (quali Choitonno e Jayadeva). In questo periodo, come in altre lingue indiane, fu molto diffusa la poesia erotica. Rappresentante fra i più noti di questa corrente fu Ulendrabhadj (XVI secolo) . La lirica erotica aveva in genere come eroe Krishna, ma si diffuse anche la lirica vishnuita (Krishna era pure un’incarnazione di Vishnu). Le opere di questo tempo sono infarcite di sanscritismi.
Si scrivono anche poemi realistici, che riflettono la vita della gente, come Le onde della guerra di Bradjanatha Badadjena (1730-1795), in cui si descrive la guerra degli Oriya contro i Marathi. Nel XVIII secolo c’è l’influenza delle idee riformatrici e vive del movimento bhakti, la lingua diventa più semplice e la letteratura più vicina ai problemi del popolo. I maggiori poeti di questa scuola furono Bhaktacharan, Gopal Krishna (m. 1862), e Bhima Bhoy (m. 1895), tutti legati alla poetica medievale.
Solo dopo la metà del XIX secolo cominciano a comparire opere illuministiche. Il maggior rappresentante di questa tendenza fu il prosatore Fakirmokhan Senapati (1843 o 1847-1918), autore del primo romanzo in lingua oriya, Chamana Athagunta. Senapati, uomo dalla vita complicata e ricca di eventi, ebbe successo come politico, diventando primo ministro di vari reami. A questi autori è legato pure l’inizio della pubblicazione di giornali.
Continuatori dell’ideologia illuministica furono Nandkishor Bal (che morì all’inizio del XX secolo), autore di ballate liriche (quadretti di campagna), e Gangadkhar Mekher (1862-1924). Fra i poeti nazionalisti-indipendentisti, che si affermarono all’inizio del XX secolo, vanno ricordati Gonabandkhu Das (1877-1928) e Nilakantadas. Per la sua attività nella lotta per l’indipendenza Gonabandkhu Das fu messo in prigione.
Nel 1920-1921 si forma il gruppo dei Verdi, che si ispiravano a Tagore. In alcuni poeti si cercano anche artifici di carattere formale, e si diffondono poesie di intonazione decadente e sottile. Negli anni Trenta molti scrittori oriya sono influenzati da Thomas Eliot. Diventa assai popolare il romanziere Gopinaht Mohanti, nato nel 1914. I due maggiori poeti del Novecento in questa lingua furono Madhusudan Rao (1853-1912), che fu anche un ben noto prosatore, e Radanath Roy (1848-1908). Rao era un poeta sottile e profondo, con un risvolto mistico, assai colto (conosceva diverse lingue europee e non solo l’inglese). Radanath Roy fu considerato poeta nazionale dell’Orissa.
Letteratura in lingua pali
La letteratura in lingua pali (una lingua della famiglia indoeuropea, gruppo indo-ario, distinta in molti dialetti che già nel I secolo a.C. erano diffusi in India) esprimeva opere del folklore orale, e poi anche opere scritte. All’inizio dell’era volgare si estese anche all’isola di Ceylon (Sri Lanka), e poi in una serie di Paesi dell’Asia sudorientale (Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia), come lingua liturgica del buddhismo e perchè i testi buddhisti sono in lingua pali.
Si distingue dal sanscrito sul piano fonetico, su quello grammaticale e sintattico (semplificazione delle forme). Presenta diversi tratti arcaici. E’ stata una lingua di cultura.
La letteratura in lingua pali è sostanzialmente costituita dal canone buddhista, formato da tre parti: il Vinaya-pitaka, il Suttapitaka, e l’Abhidhamma-pitaka. La parte più interessante e viva dal punto di vista artistico è il Suttapitaka. Nel suo insieme, il canone buddhista prende il nome di Tipitaka (Tre Cesti). Si scrissero anche opere che non rientrano nel canone buddhista. In seguito in lingua pali si scrissero quasi soltanto commenti a testi buddhisti.
Letteratura in lingua panjabi
La lingua panjabi è diffusa nel nordovest del subcontinente indiano, in particolare nello Stato del Punjab, e anche in Pakistan. E’ parlata da oltre 40 milioni di persone. Appartiene al gruppo indo-ario della famiglia linguistica indoeuropea.
La letteratura espressa in questa lingua è pure molto antica: si noti che attraverso il Punjab si rovesciarono in India molti invasori: Greci, Persiani, Turchi, Afgani e altri. L’invasione turco-afgana impose l’Islam. Però i più antichi monumenti di questa letteratura sono opera dei buddhisti nonchè di altri gruppi indù come i Sikh e i Patha.
I membri di queste sette (a parte i buddhisti) non accettavano le opere dell’ortodossia bramanica, erano contro il politeismo e il culto degli idoli. Erano membri delle sette sikh o patha Gorakhnath (tra il IX e l’XI secolo), Charpat (890-990) e altri, che scrissero inni filosofico-religiosi in antico panjabi.
Però vero iniziatore della letteratura panjabi può essere considerato Sheikh Farid Sakarganj (1173-1265), la cui opera e il cui pensiero sono legati al sufismo, una corrente ereticale dell’Islam, in cui confluivano influenze persiane (iraniche). A lui si devono oltre cento distici, scritti in un dialetto panjabi. Anche Farid fu influenzato dal movimento spiritualista indiano bhakti. La sua poesia è vivace e realistica: riflette sentimenti e costumi della gente. In sostanza Farid è anche l’iniziatore della lingua letteraria panjabi. Contro il brahmanesimo e l’Islam scrissero molti autori eretici, sufi o buddhisti.
Nei secoli XII-XV si sviluppò in modo molto intenso il movimento religioso-ereticale (con interessi sociali) bhakti: questo movimento interessò vivamente la religione Sikh, un ramo staccato dell’induismo, tuttora vivo. Fondatore della religione dei Sikh fu il guru Nanak (1469-1539), che sosteneva il matrimonio monogamico come più civile e giusto, e proclamava la parità dei diritti di uomini e donne. Ci sono pervenute diverse opere di Nanak, quali La preghiera, I dodici mesi, L’inno alla speranza. Le poesie di Nanak erano anche canzoni ed era Nanak stesso che componeva le melodie. Nel 1604 fu composto l’Adigranth (o Libro degli inizi), contenente opere di Nanak e di altri, e considerato dai Sikh il libro sacro. In questa importante opera si proclama la parità degli uomini, indipendentemente dalla loro religione. E, naturalmente, fuori dalle caste.
L’ultimo guru sikh fu Gobind Singh (1666-1708), che dette al movimento un’impronta nuova: i Sikh costituivano una serie di comunità e Gobind le trasformò in unità militari. Le sue opere sono raccolte nel Libro del decimo guru. Il movimento sikh era a base popolare e aveva un valore rivoluzionario. Nel XVI secolo sorse un nuovo genere, il kissa, che era un poema romantico d’amore: di solito l’amore di due giovani, in questi poemi, aveva una conclusione non lieta se non tragica. Questi poemi erano influenzati dalla poesia d’amore araba o persiana.
Il primo rappresentante di questo genere fu Damodar (1556-1605), autore di un poema celebre ai suoi tempi, Khir e Ranjha, la storia della figlia del ricco Khir, innamorata del pastore Ranjha. Il maggiore rappresentante della poesia filosofico-religiosa sufi fu Shakh Hussein (1538-1593): le sue opere sono accompagnate dalla musica. La poesia panjabi è del resto spesso cantata. Il soggetto fondamentale della poesia di Shakh Hussein è l’amore per Dio, e questo amore viene rappresentato come l’amore verso la donna amata.
Nel 1848-1849 anche il Punjab divenne colonia britannica, cosa che suscitò la reazione popolare. Shakh Muhammad (1782-1862) scrisse il Racconto della lotta dei Sikh contro gli Inglesi. Questi sentimenti si svilupparono lungo tutto l’arco dell’Ottocento. L’iniziatore della poesia panjabi moderna fu Vir Singh (1872-1957), autore di raccolte poetiche (La ghirlanda di onde, La ghirlanda di fulmini) e anche di romanzi. Si ricordi che l’opera degli scrittori panjabi nella loro lingua e per la loro identità nazionale fu molto difficile: difatti la repressione inglese fu molto dura. Gli Inglesi cercarono di anglicizzare la cultura, tuttavia la resistenza fu molto forte, e questa produsse anche personalità di notevole valore: la letteratura panjabi si risvegliò.
Di tempi più recenti (e poi anche più liberi, dopo l’indipendenza) sono la poetessa Amrita Pritam (1919), il poeta Mohan Singh (1905), autore di poemi di ideologia marxista, e il poeta Santok Singh (1920).
Letteratura antica in lingua sanscrita
La letteratura indiana antica si espresse in lingua sanscrita, che nei primi secoli del medioevo fu parzialmente sostituita da vari dialetti prakriti. In realtà il sanscrito è stato sempre usato come lingua di alta cultura e come lingua religiosa, fino ai nostri giorni.
Il sanscrito appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee e si affermò in India con la discesa delle tribù arie dal nord, che sottomisero i popoli precedenti (parlanti varie altre lingue fra cui quelle del gruppo dravidico, alcune delle quali si sono conservate e sviluppate fino ai nostri giorni, come il tamil e il telugu).
Il termine sanscrito è stato usato dagli Indiani, per indicare una lingua perfetta, grammaticalmente pura, esatta: cioè la lingua della società colta, delle alte caste, a differenza del prakrito che era la lingua delle caste inferiori, lingua che si sviluppò letterariamente in secoli successivi (nel medioevo). Il sanscrito si affermò dapprima (nel II millennio a.C.) nell’India del nord-ovest.
Il suo stadio più antico è rappresentato da uno dei Veda, il primo: il Rig Veda. Il sanscrito vedico, la forma più antica di sanscrito, era già in quest’epoca una lingua diversa da quella parlata. Era una lingua cristallizzata. Il divario fra lingua scritta (religiosa) e lingua parlata si approfond col tempo. La scrittura del sanscrito era l’alfabeto (sillabico) chiamato devanagari (scrittura degli dei), una grafia molto elegante e perfezionata, che si è conservata fino a oggi (la lingua hindi è scritta in caratteri devanagari). L’area del sanscrito si allargò e il centro del sanscrito si spostò a Oriente (I millennio a.C.), ma finì poi per diventare lingua dominante (o di alta cultura o sacra) per tutti i numerosi popoli indiani.
La lingua sanscrita trovò un codificatore nel grande grammatico Panini, autore, appunto, di un trattato grammaticale di sanscrito, stupefacente per l’epoca antica in cui venne scritto: stupefacente per la chiarezza, la sistematicità, l’alto livello scientifico.
La letteratura sanscrita antica si può suddividere in due periodi: la letteratura vedica e la letteratura sanscrita classica. A questi due periodi segue (ma non si può sempre parlare di successione, bensì spesso di contemporaneità) la letteratura indiana in prakrito.
Letteratura in lingua sanscrita antica o sanscrita classica
Dopo la letteratura dei Veda, il secondo momento della letteratura indiana antica è quello delle grandi epopee, il Mahabharata e il Ramayana.
L’epos del Mahabharata cominciò a formarsi nel V secolo a.C. e si sviluppò in seguito: la sua forma attuale risale però ai secoli IV-V d.C. Da questo periodo in poi non ci sono stati mutamenti o ampliamenti. Vi si narra, come schema fondamentale la lotta di due grandi famiglie, i Kaurava e i Pandava: in sostanza si tratta di una guerra fratricida e spietata per il potere (la conquista del trono). Il tema fondamentale è il trionfo della giustizia calpestata. Il poema è ricco di episodi laterali di ogni genere, di trattati filosofici (come il Bhagavadgita), di discussioni teoriche su problemi di morale, diritto, costume, guerra: i brahmini che contribuirono alla formazione di questa opera ebbero come scopo il tentativo di trasformare un epos popolare in una vasta opera religioso-filosofica.
Nel Ramayana si racconta la vicenda del generoso e giusto re Rama contro il demonio Ravana, che minaccia il mondo di annientamento e che ha rapito la sposa di Rama, Sita. L’autore di questa opera è il semileggendario Valmiki. Alcuni pensano che questi due poemi siano stati scritti dapprima in prakrito e poi tradotti in sanscrito. Entrambi i poemi per altro riflettono la visione del mondo dell’aristocrazia guerriera, e non sono tanto favorevoli ai sacerdoti.
Opere importanti della tradizione epica antico-indiana sono i Purana, che presentano moltissimi miti e leggende, cicli fiabeschi, trattati filosofico-religiosi, libri di poetica, di teologia ecc. I Purana sono molti e ciascuno di essi è espressione di questa o quella tendenza religioso-ideologica indù ed è (o può essere considerato) un libro sacro. In questo mondo complesso sorsero infatti gruppi religiosi diversi e grandi religioni come il giainismo e il buddhismo. Gli appartenenti a queste religioni, in particolare i buddhisti, si servirono di opere letterarie per scopi religiosi o polemici.
Di particolare importanza e molto diffusi furono i jataka (giataki) , del protobuddhismo: racconti sulle varie reincarnazioni del Buddha. Ciascuno di questi racconti è come raccontato dal Buddha stesso, ed è seguito da una serie di commenti e interpretazioni, nonchè da una morale. I temi sono tratti dalla letteratura popolare e dal folklore indiano.
Gran parte di questi racconti entrarono a far parte del canone buddhista detto Tipitaka, la cui prima versione è stata in lingua pali.
Il Tipitaka, di cui si hanno naturalmente molte versioni, in sanscrito comprende, oltre a tali racconti, anche liriche religiose e filosofiche. Dagli scritti buddhisti si può conoscere il folklore, la letteratura popolare, i costumi della gente. Dopo i jataka e il Tipitaka il terzo momento della letteratura sanscrita è il Brikhatkatkha o Grande Racconto, di Gunadya (V-VI secolo d.C.), scritto in origine in prakrito e pervenuto a noi in versioni sanscrite: la più ampia è detta Oceano dei racconti.
Si hanno anche due rielaborazioni sanscrite, i Rami di una grande storia, di Kshemendra e Shloki (Versi) del grande racconto Buddhasvamin che risalgono ai secoli VIII-IX. In quest’ultimo racconto si narrano le vicende del principe Naravakhanadatta e del suo amore per la figlia di una etera e di un re. Questo racconto, nelle sue numerose varianti, include una quantità di storie.
Di questo stesso periodo è la raccolta di favole chiamata Panchatantra, favole diffusesi in seguito in Oriente e in Europa (c’è un famoso rifacimento del nostro Firenzuola). Sempre in questo periodo si scrissero le opere I venticinque racconti di Vetala, i Trentadue racconti del trono reale, e, più tardi, i Settanta racconti del pappagallo. Tutte queste opere trovarono diffusione in Oriente e in Europa (ma solo nel XIX secolo). I racconti e i temi sono mescolati e contaminati fra loro. Molti libri del folklore indiano più antico si rifletterono poi nella letteratura popolare.
Al II secolo risale l’opera di Asvaghosha, uno dei maggiori e più bravi apologeti e propagandisti del buddhismo. Gli appartiene un grande poema epico, La vita di Buddha. Scrisse anche altre opere come Saundarapandae il dramma La trasformazione di Shariputra. Il poema Saundarapanda ci è pervenuto solo in traduzioni cinese e tibetana.
Un’altra opera buddista importante è il poema Jatakamala di Aryashura (non più tardi del VI secolo).
La drammaturgia trovò i suoi grandi interpreti in Bhasa, Shudraka e Kalidasa. A Bhasa si attribuiscono ben trenta drammi, tratti da diversi episodi del Mahabharata, del Ramayana, o che narrano episodi della vita di Krishna. Bhasa visse nei secoli III-IV d.C. Di Shudraka si è conservato un solo dramma, Il carretto d’argilla, in cui si accusano le malefatte di notabili e governanti, e si rappresenta la vita della gente semplice. Gli eroi di questo dramma sono un mercante in rovina e una prostituta che lo ama. I personaggi sono rappresentati in modo approfondito, e tutto il dramma costituisce un vero capolavoro.
Kalidasa è un grande drammaturgo, un grande poeta e un filosofo. Il suo dramma Sakuntala è diventato famoso in tutto il mondo. Altre sue opere sono i drammi Malavikae Agnimitra e Urvashi conquistata con il coraggio. Kalidasa scrisse pure importanti poemi, come La stirpe dei Ragha, la Nuvola messaggera e le Stagioni. Fondati su soggetti tradizionali, i drammi e i poemi epici di Kalidasa sono però innovatori, vivaci, ricchi di trovate e di episodi nuovi e felici. Si ispirano alla società del tempo e alla natura, traendo le radici dal mondo vivo a lui contemporaneo. Le sue opere, pur tratte da leggende dei Vedae dell’epos sanscrito tradizionale, sono molto originali, oltre che di altissimo livello stilistico. Kalidasa inventa si può dire un buon sovrano, che si prende cura dei sudditi, e mette in satira i vari re che invece non si curavano del bene della gente. Per tutti questi motivi la vasta opera di Kalidasa ebbe nei secoli successivi una grande diffusione e produsse molte imitazioni.
Kalidasa visse al tempo dell’impero Gupta, che fu distrutto da invasori. Naturalmente ci furono tentativi di riscossa e anche tentativi di unificare tutta l’India: uno di questi tentativi fu compiuto da Kharsha, che fu, oltre che imperatore, anche drammaturgo. Nel suo tempo si ebbero scrittori di grande valore, come il romanziere e critico Dandin, il romanziere Bana, il poeta lirico Bhartrikhari, i poeti epici Barava e Magkh. L’opera maggiore di questo periodo fu il dramma Ratnavalidi Kharsha, in cui si avverte la tradizionale ostilità dei re per i brahmini. Kharsha, a parte questi risvolti politici, seppe rappresentare con finezza e profondità l’animo femminile.
Contemporaneo di Kharsha fu Makhendravikrama, drammaturgo e autore di satire; Bana, romanziere, venuto dopo, scrisse una Vita di Kharsha e il romanzo Kadambari. Dandin fu invece rappresentante di una diversa tendenza letteraria: scrisse il romanzo Le avventure di dieci principi, il trattato di poetica Lo specchio della poesia, e altre opere. Nel romanzo Le avventure di dieci principi viene usato materiale tratto dal solito Mahabharata e dal folklore: l’autore voleva però rappresentare la viva vita quotidiana della città e ci riuscì. La critica ha accostato i romanzi di Dandin ai romanzi picareschi europei. Presi di mira dai suoi eroi-picari sono in particolare i monaci giainisti, brahmanici e buddhisti.
Molto critico nei confronti della società in cui viveva fu il poeta lirico e satirico Bhartrikhari. Gli si attribuiscono le liriche di alcune raccolte (ma non tutte tali liriche sono sue) e cioè Cento strofe sulla saggezza della vita, Cento strofe sull’amore passionale e Cento strofe sul rifiuto del mondo. La lirica sanscrita è fortemente legata a quella in lingua prakriti, in cui più forte è la connessione con il folklore. Le raccolte di liriche spesso uscivano in prakrito e in sanscrito. Ricordiamo Settecento strofe del poeta Khala, di cui si ignora la datazione. Probabilmente questa antologia risale ai primi secoli dopo Cristo. La centuria di Amaru risale invece forse all’VIII secolo. Amaru è un grande poeta d’amore. Un grande drammaturgo fu anche Bhavabhuti (VIII secolo), autore di Malati e Madhava, in cui ci sono forti intrighi amorosi ed echi intensi della poesia popolare. La composizione di questa opera è tuttavia monotona, e i mezzi artistici non troppo fini. Migliori sono altri suoi drammi, come La vita di un grande eroe e L’ulteriore vita di Rama. Bhavabhuti fu in questi e in altri drammi molto originale. Anche i personaggi mitologici (come Rama) si comportano in modo nuovo, vivace, come gente comune, che prova dei sentimenti e delle passioni reali. Il soggetto del poema Shishunadavakhta di Magha, è legato al Mahabharata, ma anche qui con innovazioni originali. Magha fu anche un ricercatore nell’ambito della metrica, campo in cui a volte esagerò nel senso della ricerca di ritmi e metri originali e complicati. Il suo poema appartiene alla cosiddetta poesia di corte: dopo di lui questo tipo di poesia epica decadde.
Nel IX secolo si situa l’opera del drammaturgo Visha Khadatta che portò un serio contributo al teatro indiano, specialmente con l’opera L’anello di Rak-shasa, un dramma impostato sul conflitto di idee e senza intrigo amoroso. Il dramma Vesankhara, di Bhattanarayana (VIII secolo), in cui si sviluppa un soggetto preso dal Mahabharata ha, come base teorica, l’opposizione alle idee materialistiche (della scuola di Charvak).
Nella seconda metà del I millennio d.C. si sviluppa la satira, specialmente nell’ambiente dei giainiti; il giainismo era una corrente filosofica-religiosa fondata sul razionalismo. Di qui la satira espressa nel teatro di suggestione giainista, come Le quattro farse, del VII-X sec., in cui si deride l’assurdità di molti aspetti della religione e dei miti indù. Si diffondono in questi secoli molte opere di carattere democratico, di opposizione alla religione dominante, in genere di impostazione giainista o buddhista, e in lingua prakriti.
Uno dei maggiori drammaturghi dei sec. IX-X fu Rajashekhara, anche lui autore di drammi con soggetti presi dal Ramayana, e scritti in uno stile molto elaborato, che ebbe molti seguaci e si può definire metaforico o dell’immaginazione o delle figure.
Nei secoli IX-X, per altro, la letteratura sanscrita diventa sempre più ripetitiva, si trasforma in un arido schema, per rispondere ai gusti assai ristretti dell’aristocrazia dominante. Il che non vuol dire che in questa o quella parte dell’India non appaiano di tanto in tanto opere e autori degni di rilievo. Nell’XI secolo si ebbe un certo numero di opere degne nel Kashmir, fra cui l’Oceano di fiumi di racconti. Contemporaneo di Somadeva fu Kshemendra, che scrisse molte opere, in stile molto nobile, e ricche di pathos e contenuti, come i poemi Samayamatrikae Kalavilasa (quest’ultimo rielaborazione del Brikhatkatkha).
Un genere di particolare fortuna nel medioevo indiano fu il champu, in lingua sanscrita, un misto di prose e versi, in cui si rielaboravano e si raccontavano in nuove forme racconti mitologici (dal IX secolo in poi). In connessione con lo sviluppo delle lingue nazionali, la funzione e il prestigio del sanscrito vengono meno: la letteratura sanscrita diventa perciò secondaria nell’ambito delle varie letterature dell’India.
La poetica indiana sanscrita ha un inizio abbastanza antico: con il già ricordato grammatico Panini (IV-III sec. a.C.) e con Patanjali (II secolo a.C.). Le opere di poetica si riferiscono alla definizione dei generi letterari, ai tropi, allo studio del lessico letterario, alla stilistica, alla caratterizzazione dei protagonisti e dei personaggi secondari ecc. Si formarono naturalmente diverse scuole. Alcuni autori affermavano che la vera poesia è quella che esprime i sentimenti, altri che la poesia si identifica con lo stile, altri nelle figure retoriche, altri ancora nelle associazioni di immagini, e così via: si può dire che tutti gli ambiti della poetica e della retorica siano stati esplorati e studiati dagli studiosi indiani.
Uno dei più importanti lavori pervenutici è La scienza della drammaturgia di Bharata (I secolo d.C.): alla base di tutto ci deve essere il rasa, l’insieme dei sentimenti, degli umori. Il teatro deve esprimere l’amore, la passione, l’humour, la paura, l’eroismo, l’esaltazione e la ripugnanza, il piacere fisico (rati), l’entusiasmo, la tristezza (shoka), il riso, l’ira, lo stupore ecc. Anche il già ricordato Dandin, famoso romanziere, scrisse un Trattato della poesia, o Lo specchio della poesia, in cui cerca di classificare in modo vivace e vivo i vari generi in base allo stile. Del IX secolo è Anandavarkhana, cui si devono la teoria e la scuola poetica dette dhvani, sul fondamento delle associazioni di immagini. Egli distingue tutte le opere letterarie in tre aspetti: quello in cui prevale il dhvani, quello in cui il dhvani ha un aspetto marginale, e quello senza dhvani. Anandavarkhana ebbe una grande influenza sulla poetica indù, fino ai nostri giorni. Un suo discepolo fu Abkhinavaragupta (X secolo), autore di vari commentari filologico-critici a varie opere. Dhanajandaya (X secolo) fu invece contrario al dhvana, autore di un trattato di drammaturgia, in cui si analizzano i soggetti, i personaggi, il genere, il rasa o sentimenti, che vengono a costituire gli elementi della drammaturgia. Un drammaturgo interessante è Rajasekkhara (secoli IX-X). Un altro scrittore, dell’XI secolo, è Kuntani, che elaborò teorie esoteriche. Un teorico importante fu il già ricordato Kshemendra (XI secolo), che sottolineò con forza (per esempio nel suo trattato Kavikanthabharana) l’importanza, da parte del poeta, o del romanziere, di tener conto dei gusti del lettore. I teorici di poetica, comunque, si moltiplicano, e non vale la pena di ricordarli, in un’esposizione non specialistica.
Letteratura sindhi
La lingua sindhi è una lingua indoeuropea, del ramo indoario. E’ parlata oggi in India e in Pakistan. Molti scrittori sindhi che abitavano l’India, nella zona che è poi diventata Pakistan, si sono trasferiti in India. In sindhi parlano circa cinque milioni di persone.
Si sono conservate molte opere del folklore, fra cui Chanesar e Dodo, che riflette la lotta per il potere di due fratelli, evento storico realmente avvenuto, che risale al 1312. Un altro poema popolare (in tutta l’India e altri Paesi i poemi popolari costituiscono un genere preciso, chiamato dastan) è Momal i Rano, la tragica vicenda di una principessa indiana, innamorata (ricambiata) di un ministro di uno Stato nemico. Altri dastan: Leila e Chanesar, sul forte senso di dignità di una donna, e su un suo intenso amore per il quale subisce molte persecuzioni; Sassi e Punnu, sull’amore di una mussulmana per un bramino. In genere si tratta di storie di amori difficili, contrastati, con finale negativo se non tragico.
Nel Sindhi (che si trova lungo la valle del fiume Indo) si sono svolte molte guerre intestine, con l’intervento continuo dei mogol (Mongoli, che poi conquisteranno l’India, almeno i loro capi). Nella regione sindhi si formò una cultura mista indù-mussulmana, di cui furono notevoli rappresentanti i poeti Shakh Abdul Karim Bulari, Makhdum Nokh Kalakundi e altri (XVI secolo). I metri poetici (popolari) tipici del sindhi erano il kafi e il docha. A questi si sostituì poi la metrica persiana. Gli Inglesi occuparono il Sindhi nel 1843: dopo di che l’influenza persiana divenne ancora più forte. Fra i poeti dei secoli XVIII-XIX i maggiori furono Rochad (m. 1782), Bedil (1814-1873), Dalapat (m. 1841), Sabit Ali Sciakh (1740-1810), che scrisse secondo modelli persiani e altri.
Alla fine del XIX secolo entrano nel Sindhi idee e modelli europei (fra cui naturalmente quelli inglesi). Mirza Kali Beg si rese noto per le traduzioni delle Rubayyat (Quartine) del famoso poeta persiano Omar Hayam. Nel secolo XX ebbe spazio sempre maggiore il metodo realista con romanzi storici e sociali di vario genere. Gli scrittori sindhi si trasferirono in India, in genere a Nuova Delhi, ma anche a Bombay, altri rimasero nel Pakistan. Si pubblicarono e si pubblicano riviste letterarie e culturali nei due Paesi. Un tema che continua a essere di attualità (di discussioni, spesso di tormenti) è la divisione dell’India in due Stati (oggi tre, con il Bangladesh).
Letteratura in lingua tamil
La lingua tamil, appartenente alla famiglia delle lingue dravidiche, è parlata nello Stato del Tamil Nadu (India sud-orientale, Madras), a Sri Lanka (Ceylon), e in altre regioni (i Tamil sono emigrati in molte regioni dell’Africa, dell’Asia sud-orientale, e dell’Oceania). E’ parlata da oltre 40 milioni di persone. Esiste una lingua tamil scritta, letteraria, con un particolare alfabeto (le regole precise risalgono al XIII secolo) e un tamil popolare, parlato.
La letteratura tamil si è sviluppata nel corso di due millenni, è molto ricca di nomi e opere: è seconda solo al sanscrito. Si è diffusa anche oltre i confini dei Tamil, in gran parte dell’India meridionale. Nel I secolo d.C. la letteratura e la cultura tamil hanno avuto un grande sviluppo: si formarono ben tre accademie letterarie, con moltissimi poeti e grammatici.
Centro di questa cultura (o cultura delle accademie dette sangi) u in particolare la città di Madura. Degne di nota sono le raccolte Otto antologie e Dieci canzoni: in quest’ultima raccolta si hanno poemi. Le regole grammaticali, sintattiche, retoriche, metriche di questi poemi trovarono la loro sistemazione nel Tolkapiyam, il primo trattato grammaticale tamil giunto fino a noi. Degli autori dei poemi e delle poesie non si sa nulla, se non qualche nome. In genere si cantano viaggi per la terra tamil e vite di re. Numerose anche le liriche d’amore. La poesia sangi continua la tradizione di una più antica poesia orale, che era declamata da rapsodi ambulanti. Per questo si capisce la presenza di formule e di immagini vicine al folklore, ma la lingua è elaborata e spesso molto retorica (è il cosiddetto shentamizh o tamil colto). Questa poesia è comunque originale, senza eccessiva influenza del sanscrito. L’influenza sanscrita è invece più forte nella poesia didascalica (per esempio nell’antologia Diciotto opere di basso profilo). La poesia didattica è collegata con il diffondersi del giainismo, e anche del buddhismo. In certe antologie (come Tirukurala, Naladiyar) si illustrano i tre principi fondamentali indiani, il dharma (il comportamento secondo la morale e le leggi), l’artha (il comportamento secondo il vantaggio economico) e il kama (la sfera del desiderio, del sesso, dell’amore). Il quarto principio era per pochi; era il moksha, la liberazione dell’anima. Questi quattro principi erano naturalmente anche sistemi di condotta e scopi della vita. Sono presenti in tutta la cultura indiana, e quindi in tutte le letterature indiane.
Il Tirukurala è un’opera religiosa, in cui si afferma il valore dell’etica religiosa per tutti. Si tratta di un poema organizzato in distici. Il Naladiyar è un altro poema, di fede giainita, in quartine, molto eleganti e vivaci. I Tamil di questi primi tempi erano molto eleganti nelle loro scritture. Alla influenza giainita e buddhista risalgono anche i poemi epici, alcuni dei quali molto belli e ricchi: i principali sono cinque, Il racconto del braccialetto, La cintura di perle, Valayabadi, Kundalakeshi, La pietra preziosa Jivaki (verso il VI secolo d.C.). I poemi Valayabadi e Kundalakeshinon sono giunti fino a noi (ne abbiamo solo i titoli), gli altri tre si sono conservati. Del Racconto del braccialetto, che ci è giunto in una redazione del IX secolo, si dice che l’autore sia un principe, Plango, che rinunciò al suo rango e alle sue ricchezze e si fece eremita: un fenomeno assai diffuso in India. Le immagini sono tamil, ma lo stile, gli artifici ecc. sono derivati dal sanscrito. Gli eroi di questo poema sono il mercante Kovalan e la sua bella e intelligente moglie, Kannakha, il cui nome divenne per i Tamil simbolo di amore e di devozione. Nel poema si descrivono con molti particolari interessanti e in ampia forma la vita e i costumi di tutti gli strati sociali dell’epoca, dai re ai pastori. Il poema La cintura di perle ci è pervenuto in una redazione dei secoli VIII-IX, ed è dovuto al poeta Sattanar. Vi si narrano le avventure di Manimekhaleya, figlia di Kovalan, e della etera Madavi. La pietra preziosa di Jivaki è una tipica opera giainista. Il Ramayanadi Kamban va ben oltre i confini di una semplice traduzione del grande poema sanscrito. L’autore (appunto Kamban) non si scosta dalle diverse trame del poema indiano, ma apporta sempre il suo contributo originale, nel senso che interpreta, abbellisce, rende tutto più vivace e nuovo. Questa traduzione riflette la vita dei Tamil, piuttosto che quella indiana generica. Le storie d’amore, inoltre, sono riscritte secondo i modelli della poesia d’amore tamil. Anche i demoni sono rappresentati in modo nuovo, e riflettono l’immaginazione della demonologia dei Tamil. I poeti Ottakkuttan (XII secolo) e Pukazhendi (XIII secolo) furono poeti di corte, ma laici, non religiosi. Scrissero poemi in onore dei re e storie mitologiche. Nel periodo successivo non si hanno opere poetiche di valore: predominano le ricerche formali, e si afferma una lingua letteraria artificiosa, in cui vengono mescolati elementi del sanscrito e del tamil.
Buddhismo e giainismo non riuscirono ad affermarsi e diffondersi nell’India meridionale, e quindi dominò l’induismo, in varie forme, in particolare con opere dedicate al dio Vishnu.
Tuttavia si affermò il movimento bhakti, che aveva come suo fondamento l’intensità e l’autenticità di un forte sentimento religioso. Si sviluppa una poesia bhakti, che ha per altro le sue radici molto indietro nel tempo. Un genere importante della poesia bhakti è l’inno religioso. Mentre lo stile giainita e buddhista è molto severo e contenuto, questo tipo di poesia è invece ricco, opulento, anche vistoso. Si ripubblica (con aggiunte e modifiche continue) l’antologia (dedicata al dio Shiva) Le sante antologie, risalente all’XI secolo.
In complesso però, dall’XI secolo, è dominante la poesia sanscrita (sia pure, ma non sempre) tradotta in tamil. Manikkavashatara è uno dei più fecondi autori: la sua enorme opera, composta ancora nell’VIII secolo, costituisce una vera e propria Tamiliade. Questa opera viene aumentata e arricchita nei secoli successivi, e ancora nel XIX secolo. In questo secolo appaiono poeti illuministi e si diffondono traduzioni dalle lingue europee.
A Madras sorge una scuola specializzata nello studio della storia, delle tradizioni e della lingua tamil. Le prime grammatiche tamil sono comunque opera di missionari cristiani. Nel 1831 compare la prima rivista in tamil (Tamil patrika), di contenuto religioso. Un giornale laico compare solo nel 1880, è Sudesammittiran (L’amico della patria). E’ in questo periodo che si sviluppa la prosa, anzitutto grazie a opere di missionari, poi grazie al padre della prosa tamil, Amuruga Navalar (1823-1879) che, fra l’altro, fu l’autore dei primi testi di lettura per le scuole tamil.
Un altro prosatore fu Venayagsm Pillai (1826-1889), autore di un romanzo divenuto famoso. In lui e in altri prosatori contemporanei si sente l’influenza di grandi scrittori occidentali, come Fielding e Dickens. Il racconto breve si afferma alla fine del XIX secolo, e la sua fortuna è legata alla traduzione di racconti europei (da Maupassant a Sechov). Alla fine del secolo molti prosatori si rifanno a temi della cultura tamil antica. Fra gli studiosi del XX secolo è importantissimo Svaminatayara, prosatore e filologo. Nella poesia degli anni Venti si segnalano Suppirsmannii Baradi, autore di poesie patriottiche ma anche di grandi poemi. Fra i romanzieri più recenti sono infine da ricordare Kalki, Pudumai Pittan, Ti Ru Vi Ka e Chakravarty Rajagopalachari. La cultura tamil degli ultimi decenni, in complesso, soffocata dall’eterna disputa tra brahmanisti e avversari, si rivela per altro abbastanza ripetitiva.
Letteratura in lingua telugu
La letteratura in lingua telugu, una lingua della famiglia dravidica (gruppo meridionale), è parlata nello Stato indiano dell’Andhra Pradesh e nelle zone vicine. I parlanti telugu sono oltre 35 milioni. Non si sono conservati documenti delle origini.
Dopo l’affermazione dell’induismo, gli scritti della cultura giainita dei secoli IX-XI vennero distrutti. Naturalmente esisteva una letteratura orale telugu, assai ricca (canti lirici, proverbi, favole e fiabe ecc.). Il documento più antico è una traduzione-rifacimento del Mahabharatadovuto a Nannai Bhatta (inizio dell’XI secolo). L’uso della traduzione (con trasformazioni) di monumenti della letteratura sanscrita si conservò per molti secoli (come in altre letterature indiane). Si hanno però anche esempi di opere in lingua telugu meno influenzate dal sanscrito, come il poema La nascita del dio della guerra Kumara, di Nannechoda (1080-1150).
Nei secoli XII-XIII si diffonde nell’Andhra il movimento religioso (politico) dello sivaismo militante, collegato al generale movimento di rinnovamento spirituale bhakti. In questa temperie spirituale scrisse Pankurika Somanatha (1160-1240), autore dei poemi Racconto di Basava, Racconto del Maestro. Somanatha introdusse nella letteratura telugu la ballata eroica. La sua lingua è assai vicina a quella parlata. Dopo che il movimento dello sivaismo militante (che aveva anche intenti antifeudali e di opposizione alla classe dominante) fu soffocato, nei secoli XIII e XIV riprese e continuò la tradizione di imitazione dal sanscrito. Si ricordano Tikkana (1230-1300) ed Erapragada (1280-1350), che effettuarono una rielaborazione del Mahabharata(l’Andhra Mahabharata). Tikkana diede inizio anche a una tradizione epica più propriamente telugu. Il poeta Shrinakhta (1380-1465) è autore di canti lirici in cui si canta l’amore e la bellezza della natura dell’Andhra. Alla seconda ondata del movimento bhakti presso Telugu è legata l’opera di Bammera Potapa (c. 1405-1480), autore di un poema, Il grande racconto di Dio, in cui si espongono liricamente le vicende delle diverse vite (incarnazioni) del dio Vishnu. Questo poema, molto bello artisticamente e affascinante per il contenuto e per la sua carica umana, divenne una delle opere più diffuse e lette dai Telugu.
Il XVI secolo è l’età aurea della letteratura telugu. Il popolo dell’Andhra, già separato in molti Stati, viene riunito nel regno di Vdjanayagar: si sviluppano le città, che diventano importanti centri culturali, con fioritura della letteratura. Quest’ultima è legata anzitutto ai nomi di alcuni imperatori scrittori, come Krishnaddvaraya, autore del poema Colei che ha regalato la ghirlanda, Alasanja Peddana, Nandi Timmana, Madayagarya Mallana e altri. Le opere di questi (e altri autori) si distinguono per la mancanza di artifici tradizionali, e per l’approfondimento psicologico dei personaggi. La lingua telugu letteraria si sviluppa, si arricchisce, diventa una vera e propria lingua classica.
Nei secoli XVII-XVIII si ha invece una certa decadenza: poesie di corte, poesie erotiche superficiali, poesie impostate su giochi di parole, sui doppi e tripli sensi ecc. Il Paese è devastato da guerre feudali, il che determina il pessimismo di molti autori. Inoltre, nel XVIII secolo, l’invasione europea peggiora la situazione. Questo secolo viene addirittura chiamato il secolo della disperazione. La riscossa viene indicata dal poeta Vemana (1700-1750), un rinnovatore del movimento bhakti, difensore dell’uguaglianza degli uomini, nemico delle caste e del rituale dogmatico. A lui si devono centurie di versi, scritti in lingua semplice e comprensibile. Continuatori di Vemana si considerarono gli illuministi dell’Andhra.
La letteratura telugu contemporanea nasce tra l’ultimo quarto del XIX secolo e l’inizio del XX. Si sviluppa il giornalismo, sorgono nuovi stili e nuove scuole letterarie. Il fondatore della letteratura contemporanea dell’Andhra è Kandukuri Viresalingam (1848-1919), autore di satire, commedie, rivolte contro il clero sclerotizzato dei bramini, e contro l’induismo tradizionale. Assimilò anche l’esperienza occidentale, specialmente inglese. Il suo romanzo più noto è La vita di Rajasekkhara, in cui si sente l’influenza del Vicario di Wakefield di Goldsmith. Alla fine del XIX secolo si afferma anche una lingua letteraria rinnovata, libera dagli impacci tradizionalistici (sanscriti ecc.), e assai vicina alla lingua parlata.
La letteratura bussa alla porta del contadino: l’iniziatore di questo movimento fu Apparao (1861-1915), che nei suoi romanzi, drammi e commedie creò personaggi complessi, moderni, vivi. A lui si devono i primi racconti e novelle in lingua telugu, nonchè intense liriche improntate allo spiritualismo bhakti. E’ pure l’iniziatore di una poesia patriottica telugu (la sua poesia L’amore per la patria è diventata l’inno nazionale dell’Andhra).
Sempre all’inizio del XX secolo si ha il fiorire della lirica, la poesia dei sentimenti e delle emozioni. Da segnalare i poemi e le poesie di Rayaprolu Subbarao, di Devulapalli Krishnashastri, Abburi Ramakrishna Rao, Vishvanakhti Satynarayana. Le opere di questi poeti si distinguono per la ricchezza delle immagini, la freschezza e novità della lingua, l’uso artistico di forme metriche anche nuove. Possono essere considerati poeti d’amore ma anche poeti patriottici. Per la poesia telugu del XX secolo si può parlare anche di poesia romantica, con influssi di grandi poeti inglesi (Byron, Shelley, Tennyson). E naturalmente si fa sentire la suggestione del grande poeta bengalese Tagore. I Canti di Enkidi Nandura Subbarao (1901-1953) riflettono invece il folklore locale e la poesia popolare telugu. Nella prosa va ricordato il romanzo di Unnava Laksminarayana Il villaggio degli intoccabili (1921). Negli anni Trenta si pubblicarono romanzi social-psicologici, di impronta verista, come Narayana Rao di Adavi Bapiragiu (1895-1952) e La riva del mare, di Vishvanatkhi Satyanarayana. In questo periodo furono popolari le novelle e i racconti di Cinta Dikshtulu e di Gudipati Venkatachalam. Successiva ai loro lavori fu l’epopea gandhiana Mala Palli di Vunnava Laksminarayan. Per l’abbondanza e il livello delle opere il Novecento (specialmente nella sua prima metà) viene considerato la seconda et aurea della letteratura telugu.
Letteratura in lingua urdu
La lingua urdu è oggi la lingua nazionale del Pakistan, ma è diffusa anche in India. In Pakistan l’urdu è parlato da oltre 64 milioni di persone, in India da oltre 23 milioni di persone.
L’urdu è in pratica simile allo hindi (la grammatica è uguale), ma il lessico in gran parte arabo-persiano. L’alfabeto è quello persiano (cioè è l’alfabeto arabo con particolari segni diacritici). L’urdu è la lingua dei mussulmani.
Il termine urdu è recente: apparve alla fine del XVIII secolo. Precedentemente questa lingua, che si formò, nei suoi vari dialetti, sulla base di dialetti dell’India settentrionale, è dunque una lingua indoeuropea, con forti elementi persiani (pure il persiano è indoeuropeo) e arabi (semitici).
Quando, nei secoli XI e XII, ci fu l’invasione mussulmana dell’India, la classe dominante e militare parlava e scriveva il farsi (il neopersiano), mentre il popolo parlava la lingua hindavi (antico nome dell’urdu). Lo hindavi era una lingua bassa, in cui si esprimeva il folklore e la letteratura popolare.
In pratica una letteratura hindavi (urdu) non esisteva, anche se si hanno alcune eccezioni: gli studiosi ricordano un Divano del poeta Masud Sad Sal’man (1046-1121), che però non ci è pervenuto. I filosofi sufi si espressero però in hindavi nelle loro prediche. Fu un predicatore sufi, per esempio, Hodja Sumnani (La morale del sufismo, XII secolo). Forte fu l’influenza persiana (e tagica: i Tagichi parlavano e scrivevano una lingua del ceppo iranico, affine al persiano): i generi erano gli stessi, e cioè qaside (elegie), ghazele (canti lirici) rubayat (quartine) ecc. Questa letteratura rifletteva però anche la poesia popolare (canti, indovinelli ecc.).
I maggiori poeti (che scrissero in persiano) furono Amir Cosroe (1253-1325), e Hasan Dekhlevi (c. 1253-1337). A costoro si devono anche poesie bilingui, in farsi e in hindavi.
Dopo l’invasione di Tamerlano, e la distruzione di Delhi da parte dei Mongoli, il centro della letteratura hindavi si trasfer a sud, nel Dekkan, dove alcuni sultani promossero l’urdu a lingua ufficiale. Sorse una ricca scuola di poeti. Si sviluppò una letteratura sincretistica, in cui agli elementi mussulmani si mescolarono elementi induistici, grazie all’influenza del sufismo e del movimento bhakti. Inoltre nel Dekkan erano influenti le letterature meridionali in telugu e in tamil. Furono comunque i sufi (i saggi e mistici dell’Islam) a dare inizio a una vera e propria letteratura in urdu, con l’opera L’incontro degli innamorati (del 1412) e Gli insegnamenti di Kh. Geysudaras (m. 1422).
Nei secoli XVI e XVII si sviluppa la cosiddetta scuola urdu del Dekkan: è l’inizio di una grande tradizione urdu, di poeti come Ibrahim Adil’ Sciah (1580-1627) , signore dello Stato di Bigiapur, Kuli Ktun Sciah (1568-1611) e Tana Sciah (che regnò dal 1672 al 1687): gli ultimi due scià dello Stato di Golconda, sempre nel Dekkan. Questi sovrani, poeti, letterati, umanisti nel vero senso della parola, promossero le lettere sia mussulmane che indù. La tolleranza ideologica, la mitezza e il mecenatismo di questi (e altri sovrani) spinsero molti scrittori e poeti di altre parti dell’India a venire nei loro Stati per trovare rifugio e aiuto. Nella poesia di questo periodo si riflette la vita reale della gente e si diffondono anche i metri e i ritmi della retorica indiana sanscrita.
La conquista mongola (del Gran Mogol) dell’India meridionale portò con sè il decadimento della letteratura urdu, tra il XVIII e il XIX secolo (la fine dei regni del Dekkan risale al XVIII secolo). E’ comprensibile anche l’intonazione pessimistica della poesia (come in Mir Momin e Mullah Ahmad). Il pessimismo portava con sè il diffondersi di opere consolatorie, specialmente religiose. Tuttavia le tradizioni umanistiche e razionali della letteratura urdu riuscirono a conservarsi, in alcuni casi: per esempio nel poema Il racconto della vittoria di Latif Kazal-basha e nell’opera di Vali Aurangabadi (1668-1744).
Nel XVIII secolo la letteratura urdu si sviluppò di più nel Nord. La caduta dell’impero dei Mogol, l’allentarsi dei legami con i paesi del Medio e Vicino Oriente indebolirono la corrente persiana della letteratura urdu. Tuttavia a Delhi e in altre città dell’India del Nord sorgono scuole di poesia urdu: fra i nomi si possono ricordare Abru (m. 1750), Arzu (m. 1756), Khatima (m. 1796). Sempre nell’India del Nord e nel XVIII secolo si afferma anche la prosa in lingua urdu: si diffondono i dastan (il dastan è una parola farsi che indica una narrazione epica), i racconti magici, racconti rifatti su testi persiani e così via.
Di particolare fortuna godette il Dastan di Amir Khamai, ma fu molto famoso anche il Racconto dei quattro dervisci, diffuso in altri Paesi del Vicino e Medio Oriente.
L’imperatore di Persia Nadirscià distrusse nel 1739 Delhi e abbattè il regime dei Mogol. Ma al dominio dei Mogol si sostituì poco tempo dopo quello degli Inglesi. Si scrivono opere di carattere politico-sociale e, come al solito, espressioni del pessimismo diffuso. La poesia satirica di Mirza Sauda (1713-1780) riflette lo stato di smarrimento del popolo. Nazir Akbarabadi (1740-1830) introdusse nuovi schemi, nuove forme, e usò un metodo realista di espressione del mondo. Scrisse un poema chiamato Povertà, in cui descrive la vita degli strati più bassi e umiliati della popolazione: è uno dei pochi documenti del genere in tutte le letterature indiane.
La caduta di Delhi permise lo sviluppo di reami minori. Gli sconvolgimenti del secolo sono vivacemente espressi dal poeta Mirza Galib (1797-1869), che pure usò forme stilistiche e metriche ancora medievali. Molte sue poesie liriche cantano in forma intima e sottile l’amore non solo come passione ma anche come sentimento. Verso la fine del XVIII secolo si sviluppa l’illuminismo urdu, grazie specialmente a numerose traduzioni e rifacimenti dall’inglese.
Ha inizio lo sviluppo del romanzo, con Nazir Akhmad (m. 1912), Mirza Rusva (1858-1931) e altri. Si diffonde anche un movimento mussulmano riformatore, detto di Aligar, che influisce in modo positivo sulla letteratura. Il maggiore poeta è Iqbal (1877-1938), assai sensibile a quello che avveniva in tutti gli strati della società. Scrisse poesie filosofiche sulla sorte umana; di lui va ricordato in particolare il Viaggio celeste. Scrisse in urdu e in farsi. Nel XX secolo si affermano nuovi poeti, alcuni anche di idee socialiste, come Khasrat Mokhani (1875-1951).
Un poeta romantico è Premchand (1880-1936), che scrisse anche in hindi. Con la conquista dell’indipendenza si apre una nuova schiera di possibilità per la letteratura urdu, che ormai si sviluppa in due formazioni statali staccate e diverse: l’India e il Pakistan, mantenendo però stretti legami reciproci.
In India continua la tradizione del romanzo sociale-realista, per esempio con i romanzi di Krishan Chandar (1914): uno di questi romanzi è Il mantello sporco, del 1962. Nel Pakistan la letteratura risente delle convulsioni sociali e politiche di questo Paese e del peso del dominio mussulmano: la classe dirigente mussulmana vuole fare dell’urdu addirittura una lingua ufficiale e sacra dell’islamismo.
Letteratura vedica
Veda in sanscrito vuol dire conoscenza. I Veda, che sono quattro, sono i più antichi monumenti della letteratura sanscrita, e risalgono alla fine del II millennio a.C.
Si distinguono diversi momenti: il più antico è costituito dai Veda propriamente detti, che sono quattro: il Rig Veda, il più antico, Yajurveda, Atharvaveda e Samaveda.
Il Rig Veda, o Veda degli inni, comprende 1028 inni, suddivisi in 10 cicli o mandala. I mandala dal II al VII comprendono i cosiddetti Veda di famiglia, o Veda dedicati a varie divinità. Il IX mandala comprende inni dedicati a una sola divinità, Somapavaman. Il I, l’VIII e il X comprendono inni composti più tardi. Gli inni del Rig Veda sono poesie religiose scritte con grande impeto, sincerità e bravura, inni a dei come Soma, Agni, Indra, Mitra, Varuna, alle Asvini ecc. Oltre agli inni in lode agli dei, il Rig Veda contiene anche descrizioni dei rituali, e inni cosmologici, sui fenomeni della natura, sull’origine del mondo; si possono trovare anche allusioni e descrizioni di fatti storici. Fra i poemi ce n’è uno dedicato alla triste storia di un giocatore sfortunato che perde tutto: questo motivo sarà ripreso dalla letteratura sanscrita classica (l’episodio del Mahabharata di Nalo e Damayanti). Meditazioni filosofiche, informazioni sui costumi sono riferite con abbondanza nel Rig Veda.
Gli altri Veda sono di ampiezza minore, e spesso presentano inni e poesie che non fanno che ripetere quelli del Rig Veda: per esempio è poco importante il Samaveda o Vedadelle melodie, con 1549 inni, di cui solo 75 originali. Anche lo Yajurveda (o Veda dei sacrifici) riprende e ripete gli inni del Rig Veda: esso è però importante perchè riporta formule rituali, come per il grande rito del sacrificio dei cavalli, noto anche agli antichi Celti.
Più interessante è l’Atharvaveda, o Veda degli scongiuri (e incantesimi) , diviso in 29 libri con 731 inni e che comprende anche frammenti in prosa. Gli scongiuri sono contro ogni tipo di pericolo: contro i nemici, i demoni, i serpenti, le belve ecc. Gli scongiuri fanno presupporre una grande fede nella magia, e nella possibilità della magia di dare salute, ricchezza ecc. Lo stile dell’Atharvaveda è in genere molto espressivo e non sempre chiaro e comprensibile.
La forte presenza dell’elemento magico fa pensare a una sintesi o compromesso fra le idee degli Arii invasori e le credenze dei popoli non ariani indigeni. Legati ai Veda sono i Brahmana. Quando gli inni vedici divennero di difficile comprensione i sacerdoti e gli interpreti scrissero dei commenti e delle spiegazioni: i Brahmana appunto, che sono spesso discussioni cavillose sugli inni vedici, esaminati uno per uno.