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Varietà linguistica poco diffusa e parlata solo a livello locale, la cui tradizione scritta è nulla o modesta. Una lingua letteraria, ad esempio l’italiano, ha poi numerosi dialetti parlati sul suo territorio, più o meno distinti dallo standard nazionale.
LINGUA E DIALETTO
In linguistica i dialetti sono considerati lingue a tutti gli effetti: hanno una fonetica, una grammatica, un lessico e meccanismi semantici, e possono esprimere, sia pure in modi diversi, gli stessi concetti. In più, anche solo limitandosi ai dialetti italiani, molti di loro hanno una fiorente tradizione colta e letteraria (si pensi solo a Giambattista Basile, Carlo Goldoni, Carlo Porta, Giuseppe Gioachino Belli.
La stessa definizione di dialetto non è univoca: nella tradizione linguistica anglosassone, con dialect si intende la varietà locale dell’inglese, o le sue variabili sociali (vedi Sociolinguistica): secondo questa accezione, l’italiano che si parla a Napoli sarebbe un dialetto, allo stesso modo del gergo, ad esempio, dei pescatori. I cosiddetti dialetti del cinese sono in realtà centinaia di varietà di almeno otto lingue anche geneticamente diverse (vedi Classificazione delle lingue), unificate solo dalla scrittura ideografica; in compenso serbo e croato da una parte, hindi e urdu dall’altra sono considerate lingue diverse, pur essendo strutturalmente uguali (sarebbe come dire, ad esempio, che nella Svizzera italiana si parla la lingua ticinese, e non l’italiano).
La parola “dialetto” è poi utilizzata in senso molto vasto anche all’interno dello stesso dominio: ad esempio, il lombardo è considerato un dialetto, e il ticinese è un dialetto lombardo: anche il ticinese però a sua volta ha al suo interno altri dialetti (quello di Bellinzona, di Locarno, di Airolo e così via).
La distinzione fra lingua e dialetto deve perciò rifarsi a criteri esterni, quali la posizione “politica” dei linguaggi presi in considerazione (l’italiano è la lingua ufficiale di uno stato, il bolognese no) o la coscienza del parlante, che determina gli usi linguistici all’interno delle comunità. Ad esempio, il catalano è strutturalmente più simile allo spagnolo, lingua ufficiale della Spagna, di quanto non lo sia il bavarese rispetto al tedesco; entrambi sono dotati di letteratura e di un grado di raffinatezza linguistica tale da renderli adatti alla lingua dell’amministrazione. Il catalano tuttavia viene considerato una lingua a sé dai suoi parlanti che hanno posto in atto iniziative legislative e di standardizzazione volte alla sua tutela e promozione, mentre i bavaresi considerano il proprio idioma solo un dialetto del tedesco.
IL DIALETTO COME LINGUA ORALE
I dialetti, come vengono generalmente intesi in Italia, presentano nella maggior parte dei casi le caratteristiche delle lingue orali spontanee: basso grado di codificazione, alta varietà di forme grammaticali e lessicali, grande variabilità nello spazio (ogni frazione di paese o ogni quartiere di città ha un proprio dialetto) e nel tempo (mancando una tradizione scritta che possa costituire un modello cui riferirsi, le forme della lingua possono cambiare liberamente, anche da una generazione all’altra). L’azione della scrittura è determinante nell’evoluzione di un idioma: ad esempio, nei circa sei secoli dalla caduta dell’impero romano al 1100, in assenza di forti tradizioni scritte, si è passati dal latino all’italiano: negli otto secoli successivi, con l’utilizzo diffuso della scrittura, l’italiano è rimasto relativamente invariato.
Proprio per la sua alta variabilità nello spazio, il dialetto viene spesso considerato un elemento importante nell’identificazione di un territorio o di una comunità, della cui formazione e mantenimento costituisce parte integrante.
LA DIALETTOLOGIA
Fino all’apparire della sociolinguistica, con cui ha numerosi punti in comune, la dialettologia era la disciplina linguistica più interessata al cambiamento e alla variabilità interna ed esterna della lingua. Ebbe numerosi precursori nel Settecento e nell’Ottocento, ma nacque scientificamente alla fine del XIX secolo, con l’opera del linguista goriziano Graziadio Ascoli, e dapprima fu particolarmente legata alla scuola neogrammatica della glottologia; all’inizio del Novecento gli studi di etimologia, etnografia e geografia linguistica (vedi Linguistica) la resero una disciplina completamente autonoma, in particolare grazie all’opera del francese Jules Gilliéron, dell’italiano Benvenuto Terracini e della scuola tedesca detta “Parole e cose”.
Banco di prova di metodologie linguistiche differenti, e luogo in cui si incontrano discipline linguistiche, antropologiche, scientifiche e umanistiche diverse, la dialettologia si caratterizza per l’esigenza della ricerca sul terreno da parte dello studioso. I dati linguistici di cui la dialettologia si serve devono cioè essere di preferenza raccolti direttamente dalla bocca dei parlanti, nel corso di inchieste linguistiche, in modo da garantire sempre il confronto con la lingua viva. La stessa metodologia della raccolta sul campo, messa a punto per gli studi dialettali, si rivelò fondamentale per l’antropologia.
Fra le realizzazioni scientifiche del XX secolo, a cavallo fra dialettologia, etnografia e geografia linguistica, si devono ricordare gli atlanti linguistici, volumi formati da numerose carte geografiche, su ognuna delle quali viene riportata la distribuzione e localizzazione delle forme linguistiche che un concetto scelto in precedenza assume nei punti indagati. In questo modo si ha una visione di insieme di tutte le realizzazioni dialettali di una parola o una frase su un territorio considerato. Per l’Italia si dispone dell’Atlante Italo-svizzero, edito da Karl Jaberg e Jakob Jud prima della metà del secolo, e dell’Atlante Linguistico Italiano, in corso di pubblicazione.