Non occorre certo essere dei mineralogisti per sapere che in natura esistono rocce come la selce o l’ossidiana da cui si possono ottenere schegge taglienti; allo stesso modo sappiamo ormai da lungo tempo che la grafite è il minerale da cui si ottengono le mine per le matite; o ancora che l’acqua di mare contiene sale, conosciuto anche nella forma del salgemma.
Questa conoscenza ci arriva da un passato lontano: già Homo habilis, più di 2 milioni di anni fa, era in grado di ottenere rozzi utensili dalla lavorazione di ciottoli di selce attraverso la tecnica della scheggiatura. Col passare del tempo l’uomo, oltre a trasmettere la conoscenza alle nuove generazioni, ha arricchito il proprio patrimonio culturale e tecnologico imparando a riconoscere e ad utilizzare molti altri materiali tra cui, oltre alla selce, l’ossidiana, le quarziti, i basalti ecc.
A partire da circa 7000 anni fa, e sempre in modo empirico, l’umanità si impadronisce di alcune interessanti proprietà dei metalli: questi materiali potevano essere scaldati e modellati secondo le proprie esigenze, con lavorazioni sempre più complesse. Durante le sue esplorazioni scopre nuovi materiali come rame, stagno e ferro che è in grado di lavorare con abilità, ad esempio attraverso la fusione o la forgiatura. Grazie alla casualità scopre che è possibile mescolare alcuni metalli per ottenere le leghe: il bronzo, ad esempio, si ottiene dalla fusione di rame e stagno e permette di costruire utensili molto più resistenti di quelli esclusivamente di rame o ferro. Ancora casualmente impara che fondendo della sabbia e possibile ottenere una specie di melassa da cui ricavare diversi oggetti che, raffreddandosi, diventano vetro.
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Il concetto fondamentale, però, rimane uno solo: per tutta la preistoria e gran parte della storia l’uomo sa che esistono alcuni materiali dalle caratteristiche singolari che che possono essere utilizzati per ottenere armi, suppellettili, utensili ecc. Egli, però, non giunge mai a porsi domande riguardo a tali materiali.
Com’è possibile che l’oro sia così duraturo ed inattaccabile da alcun elemento esterno, o che possa essere ridotto in lamine o fili sottilissimi? Perché mai una lama incandescente immersa nell’acqua assume una resistenza ed una tenacità senza pari (attraverso la pratica della tempra)?
Le prime risposte giunsero soltanto dopo la fine del Medioevo, quando le diverse civiltà si aprirono definitivamente alla scienza, ma occorsero ancora quattro secoli perché anche un contadino potesse sfruttare le scoperte degli scienziati per le proprie necessità.
L’uomo studia i minerali
Si fece così pressante il bisogno non solo di distinguere e riconoscere le diverse specie di minerali, ma anche comprenderne le proprietà, allo scopo di raggiungere una maggiore sofisticazione dei diversi manufatti.
Un primo tentativo di descrivere le varietà del mondo minerale venne fatto dal greco Teofrasto, che distingueva le varie famiglie in base alle caratteristiche esteriori, come la forma ed il colore. Ancora per parecchi secoli, però, i minerali conservarono la loro aura magica, come accadde per l’Anello di re Salomone: la leggenda narra infatti che tale anello permettesse al sovrano di conoscere qualunque cosa egli desiderasse. Durante l’epoca buia del Medioevo gli unici “scienziati” erano gli alchimisti: grazie ai loro esperimenti portarono alcuni interessanti contributi alla scienza della mineralogia; il popolo, però, considerava gli alchimisti degli stregoni, dei maghi alla stregua di Mago Merlino, a causa delle loro particolari attitudini. Questi strani personaggi erano infatti in grado di sviluppare reazioni chimiche combinando i vari materiali che riuscivano a procurarsi dai minatori. Agli alchimisti dobbiamo, ad esempio, la scoperta dell’antimonio, un elemento semimetallico, e delle proprietà esplosive di composti come il salnitro. Solo col 1556 vide la luce il primo vero trattato sui metalli, opera del tedesco Agricola, noto esperto di miniere.
Da questo momento in avanti lo studio della mineralogia conobbe un notevole impulso: il danese Stenone (1638-1686), ad esempio, fece numerose misurazioni sui cristalli e pose le basi della moderna cristallografia, mentre il tedesco Abraham Werner pubblicò nel 1774 un trattato in cui venivano descritte numerose caratteristiche esterne dei minerali, che da questo momento sono raggruppati per lucentezza, forma, colore, durezza e fusibilità.
Inoltre, si andavano riconoscendo le differenti proprietà chimiche degli elementi: ciò permise al chimico svedese Berzelius (1779-1848) di raggruppare i minerali in famiglie (elementi nativi, solfuri, ossidi ecc.) in base alla loro composizione. La seconda metà dell’800 si rivelò cruciale: l’americano James Dana presentò nel 1854 il “Sistema di mineralogia”; in cui erano descritte tutte le proprietà d’ogni singolo minerale, mentre alla fine del secolo un altro tedesco, Wilhelm Roentgen (1845-1923), fu il primo a svelarne la struttura interna. Grazie al potere di penetrazione dei raggi X, da lui recentemente scoperti, divenne possibile guardare dentro la materia scoprendone la perfetta organizzazione degli atomi al suo interno. Si era giunti finalmente a una risposta definitiva alla domanda “perché i minerali hanno forme e caratteristiche differenti?”.
Un passaggio fondamentale
In questo modo l’uomo compie un ulteriore e determinante passo in avanti: mentre fino a quel momento egli aveva utilizzato i minerali senza curarsi del perché di determinati fenomeni, ora, avendone svelato numerosi segreti, è in grado di servirsene in modo mirato.
Sotto la spinta della conoscenza nuove specie mineralogiche sono entrate a far parte della nostra vita quotidiana: il fluoro contenuto nel dentifricio viene estratto dalla fluorite, alcuni elementi fertilizzanti (come il fosforo) sono ricavati dalle apatiti, mentre un minuscolo rubino fu utilizzato per la prima volta per ottenere la luce rossa del laser che troviamo, ad esempio, all’interno di un lettore per Compact -Disc. E se vi dicessimo che gli occhiali polaroid sono stati creati a partire da una particolare proprietà della calcite?
Dalle proprietà agli usi
Le diverse proprietà dei minerali possono essere distinte in morfologiche (forma, tratto, abito), fisiche (durezza, malleabilità, duttilità, temperatura di fusione ed ebollizione, resistenza alle sollecitazioni esterne), chimiche (composizione, solubilità) ed ottiche (colore, lucentezza, rifrazione della luce).
L’analisi di alcune in particolare può condurre a scoperte molto importanti dal punto di vista industriale, tanto da poter costruire numerosi strumenti. In questa sezione analizzeremo in particolare quelle della calcite.
Prime deduzioni
Semplicemente possiamo incominciare a descrivere il campione a destra dicendo che si presenta sotto forma di solido geometrico di colore giallognolo o beige; in mineralogia per definire l’aspetto esteriore di un cristallo si usa parlare di abito, inteso proprio come il vestito con cui si presenta il minerale. Esso dipende da temperatura e pressione di cristallizzazione, dal tempo di raffreddamento e dallo spazio presente nell’ambiente di formazione. Immaginate, come paragone, la differenza tra vestirsi in fretta all’interno di un angusto sgabuzzino, oppure con calma in una comoda stanza. “Abito prismatico” indica, ad esempio, che prevale la forma semplice prisma. Il nostro cristallo di calcite ha dunque un abito romboedrico e la forma semplice predominante è proprio il romboedro. Questo solido è caratterizzato da particolari elementi di simmetria attraverso i quali è possibile ricavare la classe ed il sistema cristallino di appartenenza di un minerale.
Poiché non sempre è agevole lavorare direttamente con i campioni (perché fragili o troppo piccoli da maneggiare), possiamo fare ricorso a modelli in legno o in cartoncino: se ben fatti permettono di riconoscere numerosi ed interessanti elementi riguardanti questa o quella specie minerale (ad esempio piani ed assi di simmetria).
Il perché della forma
Forma ed abito sono conseguenza diretta della struttura cristallina, ovvero della disposizione ordinata nello spazio di atomi e molecole secondo un reticolo cristallino. Quindi: i minerali sono solidi dotati di una particolare composizione chimica in cui gli atomi sono organizzati secondo una struttura spaziale detta appunto cristallo. Ad essi si contrappongono i solidi non cristallini, i vetri come l’ossidiana, in cui atomi e molecole sono disposti in modo casuale. Il fattore di controllo per la formazione di vetro o minerale è essenzialmente il tempo di raffreddamento: tanto più basso è il valore di questo parametro, minori saranno le possibilità di formazione di una perfetta struttura cristallina. Possiamo vedere nell’immagine lo schema della struttura della calcite: gli atomi di calcio (in nero) si trovano ai vertici di una figura solida in cui trovano posizione due ioni carbonato (CO3)- – (rispettivamente carbonio in rosso, ossigeno in verde). Come si vede questa molecola ha una geometria triangolare che risulta fondamentale per la determinazione del sistema cristallino di appartenenza: per la calcite si parla infatti di sistema Trigonale (caratterizzato dalla presenza di un asse di simmetria ternario); tale sistema comprende anche il romboedro tra le diverse forme semplici. Composizione e struttura determinano quindi molte delle proprietà, come ad esempio la durezza; la calcite, però, si distingue per un curioso ed interessante fenomeno ottico.
Liquido o solido?
Per la disposizione casuale delle sue molecole, si dice che il vetro sia un liquido molto viscoso. Per comprendere questo concetto pensiamo ad una certa quantità d’acqua: sappiamo bene che essa è molto mobile ed occupa lo spazio del contenitore in cui è posta; in altre parole diciamo che l’acqua non possiede un volume proprio. Così avviene per la lava, un fluido incandescente composto da gas, liquido e solido, che forma lingue, “cascate” o laghi a seconda della morfologia del complesso vulcanico e della regione in cui si è formato. Durante un’eruzione la lava ha temperature dell’ordine di 1000° C, ma alla temperatura ambiente si raffredda e solidifica rapidamente (vetrificando), non lasciando alle varie specie minerali la possibilità di formare i loro cristalli, cosicché atomi e molecole rimangono sparsi a casaccio, proprio come nell’acqua (ma con una quasi totale perdita di mobilità). Analogamente una certa porzione di sabbia silicea può essere fusa e lavorata per un certo tempo per ottenere l’oggetto desiderato in vetro; il raffreddamento e la rapida solidificazione sono poi accelerati tramite l’immersione in acqua.
Vedo doppio?
Se appoggiamo un cristallo romboedrico trasparente di calcite, il cosiddetto Spato d’Islanda, su una qualsiasi immagine o dicitura ci accorgiamo che essa rimane sdoppiata: siamo noi a vedere doppio oppure…è la luce che viene deviata in qualche modo dal suo cammino creando l’effetto ottico?
Un raggio luminoso che passi attraverso lo spato subisce una particolare rifrazione: viene scomposto nelle sue due componenti, che prendono il nome di raggi ordinario (che passa indisturbato) e straordinario (che subisce una deviazione netta).
In questo caso si parla allora di birifrangenza. Il fenomeno si verifica da qualsiasi lato si appoggi il cristallo; ruotandolo poi attorno ad un asse, possiamo notare che una scritta rimane immobile, mentre l’altra segue la rotazione: è il raggio straordinario che ruota assieme al cristallo stesso. Ed ora che sono preparato tanto quanto un mineralogista, come sfrutto le acquisite conoscenze?
Un fenomeno, un’invenzione
Fu il fisico scozzese William Nicol (1763 – 1851) che trovò un’applicazione pratica per tale fenomeno. Egli prese un cristallo di Spato, lo tagliò secondo un piano ben determinato, ne ruotò di 180° una metà, la incollò con una resina speciale (nota come balsamo del Canada) lungo il suddetto piano di taglio ed osservò quello che accadeva facendolo attraversare da un raggio luminoso. Il raggio ordinario veniva completamente riflesso lungo il piano di taglio, mentre quello straordinario ne usciva “indenne”. Oscurando il raggio ordinario con il nerofumo, si otteneva così un raggio di luce polarizzata. Per spiegare a fondo il fenomeno dovremmo entrare nelle leggi di fisica (per maggiori dettagli: www.lucevirtuale.net): per il momento ci dobbiamo accontentare di sapere che un raggio luminoso è la somma di più onde elettromagnetiche oscillanti su piani a diversa orientazione.
Al passaggio attraverso lo spato le onde vengono scisse nei raggi suddetti, “obbligando” la luce, ed in particolare il campo elettromagnetico che ne compone parte del raggio, ad oscillare secondo piani ben determinati generando fasci di luce polarizzata. Fu così che nacque il “prisma di Nicol”, indispensabile per la costruzione dei polarimetri, ovvero strumenti in grado di produrre luce polarizzata.
Al giorno d’oggi
Una simile scoperta diede il via a numerose applicazioni pratiche, che possiamo ritrovare nell’uso quotidiano: ad esempio gli occhiali Polaroid, in cui la luce viene filtrata attraverso lenti polarizzatici, migliorano la qualità della visione, soprattutto nel caso degli occhiali da sole. Allo stesso modo sono state costruite lenti addizionali da applicare alle macchine fotografiche: le belle foto di ambienti lacustri e fluviali che vediamo nelle riviste naturalistiche devono la loro qualità al polarizzatore, che elimina numerose interferenze, tra cui il riflesso dell’acqua.
Le proprietà dei polarimetri sono state sfruttate, soprattutto, per la costruzione di strumenti scientifici, come il microscopio ottico da mineralogia. Si tratta di un sofisticato insieme di lenti, filtri ed obiettivi che permette l’osservazione e l’analisi di campioni di rocce e minerali, dello spessore di poche decine di micron: la luce attraversa un primo polarizzatore, il campione ed un secondo polarizzatore (orientato in modo da lasciar passare raggi polarizzati in un piano perpendicolare al primo: si parla quindi di “nicol incrociati”). Attraverso l’oculare si osserva che i minerali assumono colori differenti, detti colori d’interferenza, che già permettono di fare interessanti distinzioni. Il microscopio è poi dotato di un tavolino girevole: ruotandolo, si osserva che i singoli cristalli diventano alternativamente luminosi o completamente oscuri. Più precisamente vi sono due momenti di massima luminosità e due di estinzione e questo fenomeno può verificarsi per differenti angoli di rotazione. Grazie a questi ed altri parametri il mineralogista è in grado di riconoscere e classificare tutte le principali specie minerali che compongono una roccia e quindi classificarla correttamente.